Cronaca locale

"Vieni a combattere con l'Isis": 8 anni a marocchino

Monsef, 22 anni, è foreign fighter in Siria. Ha provato a reclutare gli ex compagni di comunità

"Vieni a combattere con l'Isis": 8 anni a marocchino

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L’avv. Di Pietto precisa di non aver mai sostenuto che l’imputato doveva essere assolto perché non vi era certezza dell’esistenza dell’ISIS ma al contrario perché ritiene che l’Islamic State non sia un’organizzazione criminale bensì uno stato atteso che ha un territorio definito, un servizio di anagrafe di riscossione delle imposte, e dei cittadini che liberamente si riconoscono in quello stato. Quindi non sarebbe applicabile l’art. 270 bis cp.

È stato condannato a otto anni di carcere Monsef El Mkhayar, il 22enne marocchino considerato un foreign fighter partito dall'Italia per raggiungere la Siria e combattere per l'Isis. Il giovane è accusato di terrorismo internazionale. La corte d'Assise ha accolto la richiesta del pm Piero Basilone, che ha coordinato l'inchiesta della Digos.

Monsef era decollato da Orio per Istanbul il 17 gennaio 2015, per poi andare in Siria in pullman, come dimostrano alcune foto pubblicate su Facebook. Con lui, l'amico Tarik Aboulala, poi caduto in battaglia. I due ragazzi si conoscevano per essere stati insieme in una comunità per minorenni con problemi, prima a Vimodrone e poi a Milano. «C'è una gran mole di prove a carico dell'imputato - ha detto il pm -. È pienamente provata la sua partecipazione all'associazione terroristica denominata Islamic State e la sua opera di proselitismo costante e ripetitiva, durata negli anni e ancora attuale, che colpisce una massa di soggetti che hanno subito questo tentativo di persuasione anche attraverso minacce di ritorsione». Basilone ha portato come prove, oltre alle intercettazioni, le testimonianze di educatori e ospiti delle comunità in cui Monsef ha vissuto. «Tutti - ha spiegato - ci hanno raccontato della chiusura fideistica maturata nel tempo da Monsef. È sempre stato un ragazzo irrequieto e violento, poi la svolta col suo arresto e la detenzione in carcere. Quando è uscito ha smesso di bere e fumare e ha subìto una radicalizzazione. Anche l'imam di Lecco ha provato a instaurare un dialogo con lui su Facebook ma ha capito dai toni di Monsef che non era opportuno proseguire. Sempre su Facebook, l'imputato ha partecipato a una discussione nel 2016 sostenendo l'Islam radicale con toni offensivi e minacciosi».

Tra le persone minacciate, un ex compagno di comunità, un 20enne marocchino che ha deposto ieri. «Devi venire nella nostra terra! - gli diceva Monsef il 20 ottobre 2016 - Non devi vivere coi miscredenti infedeli. Devi venire qui nella terra dell'Islam e combatterli in tutti i modi: con la lingua, i soldi, l'anima e il corpo». Alla domanda su come stesse Tarik, Monsef rispondeva: «Siamo felici come non puoi nemmeno immaginare, è come se fossimo appena nati». Secondo le dichiarazioni della zia Malika e gli accertamenti della Digos però, ora il ragazzo si sarebbe dissociato dall'ideologia jihadista e vorrebbe tornare in Europa con la moglie siriana e la figlia piccola. «Non ce la faccio più a vedere gente sgozzata», avrebbe detto.

Il suo difensore, l'avvocato Giampaolo Di Pietto, chiedeva l'assoluzione in quanto non ci sarebbe certezza dell'esistenza dell'Isis: «Con gli occhi di oggi, Che Guevara e Garibaldi sarebbero visti come foreign fighter».

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