Cronaca locale

«Il violino fa parte di me In scena con la sua voce racconto la mia vita»

La giovane star lunedì alla Verdi con un live tutto tedesco: «Tra romanticismo e '900»

Luca Pavanel

«Il violino è un prolungamento del mio corpo. Non ho memoria di un periodo senza di lui. Col violino sulla scena comunico, racconto me stessa, la mia vita». A Milano è di passaggio Francesca Dego, 27 anni, violinista dai tempi dell'asilo, una delle giovani star italiane. È di passaggio - lunedì sera in concerto con l'orchestra tedesca Mannheimer Philarmoniker diretta da Boian Videfoff all'Auditorium Verdi (brani di Strauss, Wolf-Ferrari e Schumann) -; è un passaggio che si nota. «Qual è la mia posizione in classifica? - imbarazzata, quasi si difende dalla domanda - Beh, faccio molte cose...». Già, proprio così, traduzione: un curriculum da paura. Considerata tra i numeri uno della sua generazione, ha studiato con giganti come Salvatore Accardo e Shlomo Mintz; è stata la prima italiana a entrare in finale al Premio Paganini di Genova dal 1961 e la sua registrazione del concerto di Beethoven è stata usata come colonna per il film Usa «The Gerson Miracle», vincitore della Palma d'oro 2004.

Non c'è che dire, del violino ormai avrà capito praticamente tutto. O no?

«Assolutamente niente (ride divertita, ndr). Ma posso dire che è una parte di me, la mia voce. Non riesco a pensare a me stessa e al violino come due entità separate. Siamo nati insieme, è una specie di simbiosi».

Musica a parte non c'è mai stata un'idea alternativa, per esempio seguire le orme di suo papà Giuliano che è uno scrittore?

«In effetti la letteratura è la mia grande seconda passione. Sono cresciuta tra i libri, mucchi di tomi che talmente erano tanti che dagli scaffali di casa cascavano per terra. La lettura e anche la scrittura mi hanno seguita sempre. Penso che se non avessi fatto la violinista, quella sarebbe stata la mia strada. Cosa mi porterei da leggere su un'isola? Forse Guerra e Pace di Tolstoj».

La lettura la vede solo come evasione o le serve anche nel lavoro?

«Quando preparo un concerto faccio letture storiche per capire l'ambiente in cui i compositori hanno vissuto e lavorato. Un impegno preparatorio per immergersi in una certa atmosfera, in un'epoca, in un mondo».

Un atteggiamento che avrà «ereditato» da uno dei suoi grandi Maestri come Mintz?

«Lui è stato uno dei miei più importanti insegnanti, l'ho conosciuto in Conservatorio durante una masterclass; poi mi ha invitata a partecipare a uno dei suoi laboratori estivi che tiene in Israele, dove si è instaurato un rapporto didattico. Per me è sempre stato un mito come Salvatore Accardo. Incontrare e suonare con questi personaggi... il mio cuore batteva a mille».

Tutto le è servito per arrivare anche a farsi largo in un mondo musicale che teneva le donne un po' ai margini...

«Sono le musiciste della mia generazione ad avere avuto pari opportunità. Prima era molto più difficile ottenere spazi. Certo, ci sono stati gli apripista, storicamente tra le prime Clara Schumann (moglie del compositore Robert Schumann, ndr), poi nel Novecento la forte presenza della Argerich e della Mutter che hanno lottato».

Lunedì suonerà con un'orchestra tedesca un programma tedesco. Come lo presenta?

«La Quarta di Schumann è uno dei lavori più importanti del compositore. Uno dei pezzi più noti del Romanticismo tedesco. La prima parte è dedicata a Strauss e Wolf-Ferrari, che è un autore del '900 per metà italiano.

Pezzi belli e interessanti».

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