Cronaca locale

Le visioni post-industriali di Reinhard Mucha

Alla galleria Lia Rumma la mostra che ripercorre la poetica del concettuale tedesco

Mimmo di Marzio

A Milano le migliori espressioni dell'arte d'oggi sono quelle offerte dalle gallerie private. Da sette anni, a pochi passi da Villa Simonetta, la gallerista napoletana Lia Rumma ha dato vita ad uno spazio espositivo di livello internazionale, un cubo bianco di quattro piani che fino ad oggi ha ospitato i migliori artisti della sua scuderia: da Ettore Spalletti a William Kentridge, da Anselm Kiefer a Joseph Kosuth. Artisti storici e giovani si alternano in un percorso che da sempre pone in primo piano la ricerca e l'interazione tra progetto ed environment. Un fil rouge a cui non si sottrae la mostra personale in corso dedicata all'opera di Reinhard Mucha, artista di Düsseldorf classe 1950, uno tra i più interessanti esponenti della nuova stagione concettuale, protagonista della XLIV e della XLV Biennale di Venezia. Nei duemila metri quadri della galleria di via Stilicone, la poetica dell'artista si manifesta a più livelli e secondo più linguaggi, mettendo in luce l'analisi metodica dell'oggetto (industriale o di recupero) come elemento evocatore di memorie e di interpretazione del presente. I materiali che compongono le sue visionarie installazioni spaziano da ready-made della quotidianità a modellini-scultura fino all'utilizzo di tecnologie di cui l'artista stravolge le funzioni. E forse mai come nel caso della mostra milanese risulta felice il dialogo con un ambiente carico di riferimenti all'archeologia industriale, uno degli elementi fondanti del suo immaginario. Suggestiva e inquietante l'installazione che accoglie lo spettatore nella hall della galleria, dove Mucha ha ricreato l'immagine di un tetto di vecchie tegole antiche appoggiate su un letto di detriti. In sottofondo, suoni e rumori registrati all'aeroporto di Düsseldorf. L'opera, intitolata «Insel der Seligen» (Isola dei beati), riflette sul sentimento di precarietà della «società liquida» e allo stesso tempo evoca una teatralità drammatica che richiama quella dei grandi padri del Concettuale europeo come Joseph Beuys.

Nel suo «Miracolo economico per i cittadini di Pittsburgh», l'artista recupera invece gli oggetti industriali prodotti in una fabbrica tedesca, raccontando il rapporto tra lavoro e potere nell'epoca della modernità industriale.

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