Economia

Un milione di famiglie in povertà alimentare Censis: l'Italia resiste

Nonostante la crisi il Belpaese non molla ma guarda avanti. Il Censis: "Vitale resistenza alle pressioni degli eventi". Sono le eccellenze a trainare il Paese: auto, stile e ricerca. Le imprese: "Puntare sul made in Italy"

Un milione di famiglie 
in povertà alimentare 
Censis: l'Italia resiste

Roma -  In Italia ci sono un milione e 50 mila famiglie in condizione di "povertà alimentare", pari al 4,4% del totale, con un divario territoriale enorme tra Nord e Sud. Più di una famiglia su quattro arriva a stento a fine mese. E per coprire le necessità quotidiane è costretta ad ingegnarsi attingendo così ai risparmi accumulati nel tempo, dilazionando i pagamenti o chiedendo un prestito. A guidarle, una comune strategia: tagliare su tutto, mettendo al bando gli sprechi e ridefinendo i propri consumi. In una corsa sempre più alla ricerca delle offerte e dei prezzi più convenienti, in cui anche il carrello della spesa e la casa diventano low cost. Mentre si dice addio ai vizi che costano troppo, sigarette in testa. A fotografare "la stressata resistenza" delle famiglie italiane ma anche le nuove abitudini su cui la crisi le ha instradate è il rapporto 2009 del Censis dedicato alla situazione sociale del Paese.

Una società che resiste Siamo una società "replicante" che vive "in apnea" in attesa che la crisi finisca. Abbiamo resistito alla grande crisi economico-finanziaria senza trasformarla in un’occasione di "metamorfosi", ma replicando il modello (il "paesone") italiano che sembra, tutto sommato, aver funzionato. Quel "non saremo più come prima" che un anno fa dominava la psicologia collettiva - dice il rapporto - è mutato in un "siamo sempre gli stessi" che ci appiattisce alla contingenza senza però deprimerci. Viviamo da molti mesi in apnea, in vitale resistenza alle pressioni degli eventi. Ma se nei primi mesi del 2010 i mercati mondiali non ripartissero, se alcune filiere essenziali per l’industria italiana non riprendessero lena, se non fossimo capaci di andar da soli - avverte il Censis - il ricorso all’adattamento potrebbe non servire più. E, accanto a un cauto ottimismo, un pò di stanchezza comincia a circolare.

L'Italia ai tempi della crisi Dall’indagine emerge che il 28,5% delle famiglie ha avuto difficoltà a coprire le spese mensili con il proprio reddito. Un dato che si confronta, al contrario, con un 71,5% che invece dichiara di avere un reddito sufficiente, con una quota che sale quasi al 79% nel nord-est e scende al 63,5% al sud. Le famiglie che ogni mese si trovano in affanno hanno fatto ricorso a "fonti alternative", con una "miscela" che ad oggi si è comunque dimostrata "efficace". Così il 41% ha messo mano ai risparmi accumulati nel passato; in oltre un quarto dei casi (25,4%) uno o più membri ha svolto lavoretti saltuari per integrare il reddito; il 22,2% ha utilizzato la carta di credito per rinviare al mese successivo i pagamenti; ma c’è anche un 10,5% che si è fatto prestare soldi da parenti o amici; mentre l’8,9% ha fatto ricorso a prestiti di istituti finanziari e il 5,1% ha acquistato presso commercianti che fanno credito. Intanto, però, gli stili di vita cambiano. Oltre l’83% delle famiglie italiane, infatti, negli ultimi 18 mesi ha modificato le proprie abitudini alimentari (il 7% molto), con un 40% che afferma di aver innanzitutto contenuto gli sprechi. Un altro 39,7% ha legato i propri acquisti ai prezzi più convenienti e quasi il 35% ha eliminato dal budget alcuni prodotti troppo "pesanti": lo hanno fatto soprattutto gli anziani (46%). C’è anche chi, il 15,6% delle famiglie, ha ridotto la quantità di alimenti consumati, insieme a chi si è accontentato (12,7%) di prodotti di qualità inferiore. Tanto che, in generale, se il 65% dice di acquistare prodotti di marca, il 18,6% afferma di fare regolarmente ricorso a prodotti low cost. Che - evidenzia il rapporto - segnalano una «esplosione», non solo nei viaggi, approfittando sempre più dei diversi canali distributivi e dei mercati "chilometro zero". E arruolando anche il settore residenziale: con tanto di caratteristiche della casa low cost, tra componenti prefabbricati, autoproduzione di energia solare, edifici a zero emissioni, uso di materiali riciclati e spazi flessibili grazie a componenti modulari. Non manca, infine, tornando ai singoli comportamenti, chi (il 35%) ha ridotto l’uso dell’auto per camminare di più e chi rinuncia alle sigarette (quasi l’11%) perchè costano troppo.

Le famiglie colpite dalla crisi Secondo l’analisi del Censis, frutto di una elaborazione del Censis su dati della Fondazione per la sussidiarietà e dell’Istat, ci sono regioni come Veneto, Toscana, Lazio e Trentino Alto Adige che hanno quote di famiglie in povertà alimentare sotto al 3% e altre come Calabria, Basilicata e le due isole che, invece, presentano valori nettamente più elevati (dal 6,2% al 10,8%). Il disagio sociale è quindi fortemente territorializzato, dice il Censis, che pubblica anche una graduatoria delle province dalla quale emerge che il gap tra Centro-Nord e Sud-isole è marcato e relativo a tutte le dimensioni del disagio considerate, da quelle private (consumi e reddito) a quelle di natura collettiva, come le infrastrutture. Le province più problematiche risultano Palermo, Agrigento, Matera, Lecce, Caserta, Crotone, Vibo Valentia e Caltanissetta; al contrario, Trieste, Aosta, Belluno e Siena sono le province con livello di disagio sociale più basso.

I posti di lavoro bruciati Oltre 760mila posti di lavoro persi in un anno per motivi legati alla sola crisi. Un nucleo costituito prevalentemente da dipendenti (83,9%), uomini (56,4%), residenti al nord (42,8%) quanto al sud (37,0%). Circa il 42% lavorava nell’industria della trasformazione (27,1%) e nell’edilizia (15,1%), il 14,5% nel commercio e il 9,1% nei servizi alle imprese. A questa platea "già numerosa - sottolinea ancora il rapporto - si aggiungono quanti, pur occupati, lavorano a regime ridotto": sono risultate circa 310 mila le persone che nella settimana in cui sono state intervistate non hanno lavorato mentre circa 415 mila l’hanno fatto ma per meno ore del solito.

Si tratta per lo più di lavoratori dipendenti, in Cassa integrazione o mobilità (quasi 350 mila) e sono concentrati soprattutto al Nord (65,0%), segno di come in quest’area del Paese "il sistema, che pure ha tenuto - viene sottolineato - stia però registrando preoccupanti segnali di affanno".

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