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Minacce alla Finanza, così Visco ha cambiato versioni per salvarsi

Prima ha negato tutto, poi il viceministro ha ammesso l’intervento sull'ex comandante delle Fiamme Gialle, Roberto Speciale. Ma ha sempre dato motivazioni diverse sulle pressioni per traferire gli ufficiali che indagavano su Unipol-Bnl. La Cdl all'attacco: vergogna, deve dimettersi. E il generale medita il ricorso al Tar

Minacce alla Finanza, così Visco ha cambiato versioni per salvarsi

E quattro. Sulla pressante richiesta di Vincenzo Visco di azzerare l’intera gerarchia della Guardia di finanza in Lombardia, l’ultima versione dal cilindro dell’imbarazzo l’ha tirata fuori il senatore Guido Calvi, difensore del viceministro e suo compagno di partito al Senato.
Subito dopo l’interrogatorio di giovedì a Visco, Calvi cerca di giustificare ingerenze e minacce denunciate dall’allora comandante Roberto Speciale con un problema di scarso rendimento. Per lui vi erano «dubbi e perplessità circa le condotte di alcuni comandi che apparivano non adeguatamente efficienti nella lotta all’evasione fiscale». Insomma, i quattro comandanti delle Fiamme gialle non garantivano un’efficace (feroce?) lotta all’evasione fiscale. Per questo andavano rimossi.
Una tesi certo nuova, di qualche appeal mediatico ma dubbia per il ritardo con il quale viene ora presentata (a 11 mesi dai fatti) e smentita da numerose e precise circostanze. Primo: tra i quattro ufficiali che Visco voleva trasferire compare anche il tenente colonnello Vincenzo Tomei. Tomei, essendo a capo della polizia giudiziaria, non si occupa di controlli fiscali ma di indagini penali. E quindi perché si voleva trasferire anche lui che non c’azzecca niente, è proprio il caso di dire, con l’evasione?
Vi sono poi i dati dei risultati che smentiscono la tesi. Gli obiettivi assegnati nel 2005 e 2006 nella lotta all’evasione proprio dell’autorià politica sono stati sempre raggiunti sia a Milano che in tutta la Lombardia. Tanto che proprio alla recente festa del Corpo in via Melchiorre Gioia il comandante interregionale generale Francesco Petracca ha evidenziato e apprezzato i risultati ottenuti dalla Regione Lombardia.
Terzo aspetto: se è vero che la gerarchia non era incisiva nella lotta all’evasione allora perché non spiegarlo subito ai generali Italo Pappa e Sergio Favaro, convocati da Visco prima di Speciale? Ai due alti ufficiali infatti Visco non disse mai le ragioni della sua richiesta.
Nemmeno si comprende perché Visco volesse trasferire i quattro, dei quali non era soddisfatto, promuovendoli o assegnando loro incarichi di pari grado, come chiese espressamente a Speciale, sollecitando gli avvicendamenti, e come poi spiegò in Parlamento Romano Prodi. Il premier, infatti, il 26 luglio 2006 giustificò i trasferimenti non con lo scarso rendimento. Anzi sostenne che gli avvicendamenti «sono abituali in questi casi: i generali e i colonnelli interessati non sono stati penalizzati ma destinati a incarichi di pari livello o superiori».
Unendo questa spiegazione di Prodi a quella di Calvi si arriverebbe al teorema dell’assurdo: i quattro, dato che non combattevano l’evasione, vennero premiati «a incarichi superiori». La spiegazione di Calvi quindi traballa. Come già era debole quella di Prodi sui cambi «abituali». Tanto che nemmeno un mese fa per mandare a casa l’allora comandante delle Fiamme gialle Roberto Speciale, il ministro dell’Economia in persona Tommaso Padoa-Schioppa aveva estratto, sempre dal cilindro dell’imbarazzo, un’altra giustificazione. Ben lontana da quelle precedenti e che anzi contraddice sia quella di Prodi che quella di Calvi.
«Emergeva che erano stati impiegati - disse il ministro in aula il giorno della votazione - per molti anni in Lombardia e/o a Milano. (...) Ulteriori dubbi sulla permanenza nella stessa sede per l’inevitabile cristalizzazione di amicizie e di conoscenze con ambienti dell’economia, della politica e dell’informazione». Ma anche qui la motivazione traballa visto che sempre Tomei era arrivato a Milano addirittura da appena otto mesi. Allora perché trasferirlo?
Del resto sulla vicenda il governo ha offerto sempre spiegazioni frammentarie. A iniziare da quando Visco disse che le accuse di Speciale erano «tutte false» e che lui, in pratica, non aveva chiesto quei trasferimenti, indicando solo elementi di criticità all’allora comandante generale. Anzi, per ripetere le parole di Tommaso Padoa-Schioppa, Visco «nell’incontro del 13 luglio faceva presente al comandante generale l’opportunità di valutare il coinvolgimento anche di Milano nei trasferimenti ipotizzati».
Peccato che siffatta cortesia stoni con la sfuriata telefonica con Speciale di appena quattro giorni dopo. Visco urla, intima al comandante generale di avviare i trasferimenti.
gianluigi.

nuzzi@ilgiornale.it

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