Politica

Mio figlio ha cantato l’Italia che vorrei

Intervista a Vittorio Emanuele. "I fischi per Emanuele Filiberto a Sanremo? Solo una strettissima minoranza. Come sempre"

Mio figlio ha cantato l’Italia che vorrei

Il 18 marzo del 1983 Re Umberto II di Savoia muore a Ginevra. Era in esilio dal 13 giugno del ’46. Un esilio controverso per il Re e i suoi eredi, che si concluse nel 2002.

Principe Vittorio Emanuele, il Re non abdicò a favore della Repubblica perché non fu mai proclamata?
«È vero, non fu proclamata perché la Corte di Cassazione non poté esprimersi in merito alle segnalazioni di brogli. Le schede furono rese introvabili e non fu possibile la riconta dei voti. Poi nel corso degli anni sono saltate fuori tutte e di pre-barrate sul simbolo repubblicano ce ne sono migliaia. Nei verbali dei Seggi ci sono le prove: le cancellature sulle caselle che riportano il numero di voti per la monarchia. È tutto documentato nel libro di Malnati La Grande Frode».

Nell’88 lei riconobbe la Repubblica.

«Mi hanno insegnato che prima di ogni cosa bisogna rispettare lo Stato. Ora è basato sulla forma repubblicana. Però penso che una Monarchia moderna sarebbe una soluzione migliore. Basti osservare la Spagna, il Regno Unito, la Svezia e tante altre».

Suo padre è diventato Luogotenente del Regno nel ’44. Re il 9 maggio del ’46. Cosa fece per l’Italia?
«Voleva dare all’Italia un progetto per lo sviluppo democratico: grazie a lui la donna votò per la prima volta; avviò il progetto di Decentramento consentendo a Province e Comuni di incamerare parte delle risorse della tassazione - in pratica il federalismo fiscale; avviò la riforma federale con lo Statuto Speciale della Sicilia e il ripristino del tedesco per l’Alto Adige; lanciò l’Opera sostegno famiglie, ancora oggi Ente dello Stato».

A suo nonno Vittorio Emanuele III dobbiamo solo una delle pagine più tristi della nostra storia?
«Regnò per quarantasei anni, con lui, nel 1911, l’Italia era la settima potenza mondiale. Corresse i conti pubblici; realizzò la rete ferroviaria; fondò la Previdenza Sociale; l’Istituto Case Popolari; le Assicurazioni Nazionali. Dopo la Vittoria del ’18, con cui si compì l’Unità d’Italia con Trento e Trieste, cedette quasi tutte le proprietà di Casa Savoia al Fondo per i Mutilati ed Orfani di Guerra. Nel 1909 fondò la Fao, lo sapeva?».

Non si ribellò al fascismo.
«Fece arrestare Mussolini. Il Re regnava, non governava, esattamente come il Presidente della repubblica Italiana, ed era ligio allo Statuto Albertino. Mussolini voleva marciare su Roma e il Re, affidandogli l’incarico, lo rimise nei binari. Il Parlamento votò la fiducia con ben 306 voti a favore su 429, e in quella Camera il movimento fascista aveva solo 35 deputati».

E le leggi razziali?
«Una follia da condannare. Il Re ne era nauseato ma il Parlamento le voleva promulgare. Lui le rimandò tre volte alle camere con fondamentali modifiche, sperava si levasse una manifestazione democratica contro, non accadde e furono emanate. Uno scempio dei diritti civili!».

Che cosa le ha raccontato Maria Josè, scomparsa nel 2001, del mese in cui fu Regina?
«Vede, mia madre fu Regina per tutta la vita. Il suo status cambiò in Italia, ma non nel mondo. Credeva profondamente nel ruolo assegnatole dalla storia. Non cessò mai di occuparsi degli italiani, della cultura italiana nel mondo, dei rapporti con le potenze straniere».

Perché suo padre pose vincoli di consultazione decennali su una parte dell’archivio storico conservato a Cascais?
«Di certo si tratta di carteggi d’interesse storico non solo nazionale ma europeo. Li conservava in un luogo nascosto, io non ho mai avuto modo di consultarli. Nessuno li ha mai letti mentre il Re era in vita».

E dopo?
«Sono scomparsi. Quando siamo andati a Villa Italia con gli esecutori testamentari di mio padre non c’era più un solo foglio. C’erano i faldoni tutti svuotati e gettati a terra».

Nel ’78 a Cavallò durante un litigio un giovane fu ferito. Morì. Lo racconta nel suo libro «Lampi di Vita». Lei aveva un fucile, la incolparono. Nel ’91 al processo fu assolto. Un brutto periodo.
«Ero sconvolto da quanto accaduto. Il povero Hammer era così giovane, era ferito gravemente. Sapevo che non potevo essere stato io e ho combattuto per ottenere la completa assoluzione. Arrivò con formula piena. È stato un fatto estremamente doloroso per tutta la mia famiglia. Al processo emerse che il proiettile che lo colpì non era di fucile ma di pistola, ma nessuno indagò in questo senso. Un mistero».

Nel 2006 la procura di Potenza l’accusò di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici funzionari. Si dichiarò innocente, ma l’arrestarono.
«È incredibile! Le archiviazioni si sono susseguite per ogni stralcio d’indagine dimostrando come l’impianto accusatorio fosse privo di fondamento. Lo scorso febbraio il processo è passato a Roma dove il Tribunale ha archiviato anche il secondo stralcio dell’inchiesta, sono fiducioso che si arrivi a una conclusione definitiva a breve».

Come si è sentito quando sono venuti a prenderla?
«Angosciato! Hanno voluto colpire e distruggere senza ragione me, Casa Savoia, la mia famiglia. Non capivo cosa stava accadendo, non mi avevano neppure notificato l’arresto, non mi dicevano nulla. Mi sentivo vittima di un sequestro».

Suo cugino, il Duca Amedeo d’Aosta, lo stesso anno si è proclamato Capo di Casa Savoia.
«Ha detto che le leggi di famiglia e la lettera patenti mi mettevano fuori a causa del matrimonio con Marina. Bugie! Ha anche creato una falsa consulta, quella vera, con atto costitutivo del ’65, riconosce me come Capo della Dinastia. Ogni legge sulla successione è stata abrogata nel 1848 dallo Statuto Albertino, solo il primogenito del Re può essere considerato Erede. Mio padre riconobbe Marina formalmente assegnandole il trattamento di Altezza Reale e divenendo padrino di Emanuele Filiberto, a cui assegnò il titolo dinastico di Principe di Venezia».

A febbraio il tribunale di Arezzo lo ha condannato per uso illecito del cognome «di Savoia».
«Giustizia è fatta! Doveva pensarci prima».

Cosa fa oggi il Capo della Casa Reale in un’Italia che non riconosce la Monarchia come istituzione?
«Tengo i rapporti con le Case Reali straniere, faccio opere di beneficenza con l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, svolgo attività legate alle associazioni Risorgimentali e Monarchiche, alle fondazioni. Quest’anno abbiamo promosso una mostra itinerante “Casa Savoia e l’Unità d’Italia” e a proposito di Unità d’Italia stiamo lavorando per organizzare le celebrazioni in occasione del 150° Anniversario».

I suoi genitori sono sepolti a Hautecombe, in Alta Savoia, torneranno in Italia?
«Lo hanno fatto in Russia con lo Zar Nicola II, spero accada anche in Italia. Sarebbe giusto che il Pantheon potesse accogliere anche i Re e le Regine d’Italia sepolti in terra straniera. Abbiamo chiesto un gesto di rappacificazione con il passato, ma non abbiamo ancora esiti positivi».

Emanuele Filiberto è stato contestato a Sanremo. Ne avete parlato?
«Sa qual è la verità? Che i fischi e le contestazioni sono sempre la strettissima minoranza. Non dobbiamo mai far passare maggioranza ciò che maggioranza non è!».
«Io credo ancora nel rispetto, nell’onestà di un ideale, nel sogno chiuso in un cassetto e in un Paese più normale». Queste parole fanno parte del testo della canzone.

Cosa le suggeriscono?
«L’Italia che vorrei!».

Commenti