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"Mio padre Bud Spencer è diventato un francobollo"

Il figlio dell'attore morto un anno fa: "Sui social ha milioni di amici e nel mondo si moltiplicano i fan club. Ricordo ancora un suo cazzotto"

"Mio padre Bud Spencer è diventato un francobollo"

Conoscendolo se la starà ridendo. Una di quelle risate contagiose, almeno quanto quei cazzotti che ha distribuito allegramente durante la sua luccicante carriera di uomo, di sportivo, di attore. E di padre. Sì, di padre, perché il Bud Spencer, alias Carlo Pedersoli, che ci racconta suo figlio Giuseppe in questa intervista è un Bud Spencer che, a poco più di un anno dalla sua scomparsa, raccoglie una popolarità nel mondo rara nella storia del cinema. Il tributo ad un gentiluomo d'altri tempi ma con il guizzo sempreverde della gioventù.

A un anno dalla scomparsa, suo padre è più vivo che mai, perché, secondo lei?

«È una grande emozione per me e le mie sorelle sentire tanto affetto da persone che non conosciamo e che spesso ci ricordano momenti e ci inviano foto anche private, di cui noi stessi non abbiamo memoria. Mio padre non è mai stato percepito dal suo pubblico come una star del cinema, lontana e irraggiungibile, ma come uno di famiglia, un amico, un nonno. Sono orgoglioso, perché evidentemente ha conquistato il cuore della gente per la sua semplicità e perché ispirava fiducia. Forse è ancora vivo perché, in qualche modo, la sua figura è resa virtuale dai suoi film, trasmessi in tv con successo in tutto il mondo. Si era molto emozionato quando, pochi anni fa, un bambino appassionato dei suoi film, si era messo a piangere perché, vedendolo ormai ottantenne, non poteva credere che fosse diventato vecchio».

In Paesi come la Germania è un mito che sembra crescere con il tempo. Come mai?

«In Germania c'è una vera venerazione per Bud e Terence. Più volte l'anno un canale tv dedica loro una maratona, trasmettendo i loro film tutta la giornata. Ci sono Fan Club che si riuniscono in villaggi a tema, nel fine settimana, vestendosi come i personaggi dei loro film, sfidandosi a birra e salsicce o consumando quintali di fagioli».

Un giornale tedesco ha scritto che ormai Bud è un caso nazionale...

«Pensi che ci fu quasi una sommossa popolare a Schwabisch Gmund perché la popolazione voleva che gli si dedicasse un tunnel che era il principale accesso alla cittadina. Il sindaco rischiò la poltrona quando si mostrò perplesso. Mio padre andò a trovarlo e riportò la pace chiedendo che invece del tunnel gli fosse dedicata la piscina dove aveva fatto uno dei suoi tanti record cinquant'anni prima. Nel primo anniversario dalla sua scomparsa, le Poste tedesche hanno voluto onorarlo con una serie limitata di francobolli che sono andati esauriti in 24 ore mandando in tilt il sito di Deutsche Post. A giorni uscirà un modello speciale della famosa Dune Buggy protagonista di Altrimenti ci arrabbiamo! dedicata a mio padre».

Esiste un altro Paese così «spencerizzato»?

«Ce ne sono molti, la Spagna, la Francia, ma direi che l'Ungheria ha amato molto Bud Spencer e, ancor prima, Carlo Pedersoli perché è contro l'Ungheria, tante volte campione del mondo di pallanuoto, che ci sono state grandi sfide con il Settebello d'Italia di cui mio padre per molti anni è stato titolare attaccante. Pochi mesi fa a Budapest c'è stato un concerto che gli Oliver Onions gli hanno dedicato, interpretando i temi famosi dei suoi film. Hanno riempito uno stadio di dodicimila persone. A Budapest gli hanno dedicato un parco pubblico e un artista di strada ha dipinto uno straordinario ritratto su un grande muro. Ci arrivano lettere e messaggi dalla Cina all'Iraq, dall'Alaska alla Tanzania. Dove non avremmo mai immaginato che i suoi film fossero arrivati. E anche quello italiano è un pubblico speciale. Riceviamo continuamente testimonianze, anche di giovanissimi, che ci aiutano a superare la tristezza per la sua scomparsa».

La pagina Facebook a lui dedicata conta oltre 2 milioni di followers...

«La pagina Facebook è stata ideata in Germania e noi della famiglia la seguiamo per controllarne i contenuti, per fornire immagini e rispondere alle domande dei fans. Io che uso pochissimo i social network, devo riconoscere che è un mezzo di straordinaria immediatezza per conoscere pensieri e commenti di chi a mio padre vuole molto bene. Mi sorprende che un mezzo utilizzato prevalentemente dai giovani dedichi tanto interesse ad un attore che purtroppo non è più fisicamente tra noi e che comunque appartiene a una generazione lontana. Un fan napoletano ha scritto: Grazie Bud, hai esorcizzato la tristezza!».

La lettera o la richiesta più bizzarra che ha ricevuto da un fan di suo padre?

«Ci divertivamo spesso con papà a leggere le lettere e i messaggi che arrivavano. Erano una grande gioia per lui e continuano ad esserlo per me e le mie sorelle. Papà considerava una divertente follia le fotografie di quelli che si facevano tatuare il suo volto sul corpo. C'è un ragazzo che ha tatuata sulla schiena tutta la scena di Trinità col famoso Emiliano non tradisce, Gringo!. Una volta ci arrivarono delle foto dal Brasile con un ragazza incinta seduta davanti ad un televisore che trasmetteva film di Bud Spencer. La didascalia diceva che aveva fatto tutta la gestazione guardando quei film perché così suo figlio sarebbe nato felice. Mio padre volle conoscere i genitori, due ragazzi di Rio, che poi ci vennero a trovare. Fu molto contento di farsi fotografare con quel bimbo ormai di un anno e ovviamente felice».

Lei ha lavorato con suo padre stando dall'altra parte della macchina da presa, che attore era?

«Diceva di non essere un attore ma sapeva meglio di chiunque altro come doveva interpretare il suo personaggio e cosa la gente si aspettava da lui. Sul lavoro era molto puntuale ed estremamente rispettoso degli altri, specialmente dei registi e dei collaboratori. Abbastanza pigro, faceva un po' napoletanamente il minimo necessario per ottenere il massimo. Non era per nulla vanitoso, caratteristica molto comune negli attori, ma era molto sicuro di sé. Un vincente nato».

E che tipo di padre era, invece?

«Ricordo il giorno in cui mi disse che prima di essere mio padre voleva essere mio amico. Ero un adolescente di inizio anni Settanta e quel messaggio mi lasciò molto perplesso. In quegli anni i rapporti familiari venivano messi radicalmente in discussione ma io ero tra quelli che preferiva la tradizione. E il rispetto per i genitori era per me un concetto sacro. È stato un padre molto aperto, per nulla severo, estremamente protettivo, anche perché l'Italia di quegli anni era quella dei rapimenti e del terrorismo. Col grandissimo successo di Trinità del 1970 mio padre era diventato una star internazionale ed anche per la sua immagine pubblica, cosi ammirata e positiva, io e le mie sorelle sentivamo di dovergli rispetto».

Quando era bambino chi era Bud Spencer per lei?

«Era semplicemente mio padre ma, a dire la verità, per i primi anni non lo ricordo molto. Viaggiava spesso ed era occupato per molti mesi all'estero per le riprese dei film. Il fulcro della famiglia e della nostra educazione è sempre stata mia madre. Quando papà tornava dal lavoro era una grande gioia e puntualmente ci riempiva di regali. Con noi è sempre stato molto affettuoso. Un uomo elegante non tanto e non solo nella forma estetica quanto soprattutto nel comportamento. In famiglia non abbiamo mai sentito una parola volgare o una reazione prepotente nei confronti di nostra madre. E, crescendo, abbiamo avuto spesso quella strana sensazione di riuscire a comunicare senza aprire bocca. Io conoscevo benissimo cosa lui aveva in mente e lui il mio modo di pensare, perciò lui poteva fidarsi di me al cento per cento e io potevo sempre contare su di lui».

Un ricordo speciale e personalissimo che ha di lui...

«Non potrò mai dimenticarlo anche se non sarebbe il caso di pubblicizzarlo. Ero poco più di un bambino e mio padre, attratto da tutto ciò che avesse un motore, aveva appena ritirato una Mercedes 500S da 6.9 litri. Ne andava orgoglioso. Blu scura, bellissima. Dovevamo andare da Milano a Roma, Io, lui e mia madre che è la persona meno appassionata di automobili che io conosca. Lei, sul sedile posteriore, si addormenta praticamente dopo due minuti e si risveglia all'arrivo senza aver compreso ciò che era accaduto nel frattempo. È rimasta una cosa speciale e goliardica tra me e lui. Un'avventura in perfetto stile Il Sorpasso. L'adrenalina era a mille quando vedevo la lancetta del tachimetro superare i 250 chilometri orari e il passaggio veloce sulle curve strette degli Appennini una sensazione straordinaria. Per farla breve, arrivammo a casa dopo 3 ore e 5 minuti e per fortuna non andò a finire come nel famoso film di Gassman e Trintignan. Potrei scrivere un libro sulle emozioni di quel viaggio. Erano altri tempi e queste cose non si possono e non si devono fare più. Una decina d'anni dopo rifacemmo quel percorso ed era una delle prime volte che guidavo. Mio padre seduto sul sedile accanto mi insegnava come stringere le curve, dove accelerare, come tenere le mani sul volante. Era un ottimo pilota».

Che cosa ammira di più delle sue tante vite?

«La sua coerenza di comportamento. Ha fatto tante cose riuscendo ad avere grandi soddisfazioni ma non è mai sceso a compromessi per ottenerle. Non aveva neanche un'agenda di numeri di telefono. Non ha mai chiamato nessuno per cercare una scorciatoia o un favore. Aveva una grande dignità e un senso dell'onore proprio di altri tempi, eppure era molto moderno, sempre aperto a nuove idee, all'avventura. A noi figli non ha mai detto cosa dovevamo o non dovevamo fare ma ci ha dato formidabili esempi di come si sta al mondo, di come si tiene insieme una famiglia. Già anziano diceva di avere il corpo di un ottantenne con un cervello da ventenne».

Ci racconta del documentario «Lo chiamavano Spencer»?

«Non l'ho realizzato io anche se l'ho sostenuto. L'idea è di uno studente austriaco, Martin Pold, che vinse più di otto anni fa una borsa di studio all'Università di Vienna per un progetto su Bud Spencer di cui era un grande fan. Coinvolse due ragazzi tedeschi, uno vagamente somigliante a Terence Hill, Marcus, e l'altro, Yorgo, un po' grosso, con la barba e corpulento. L'idea era quella di far consegnare ai due ragazzi un regalo al loro idolo, una marionetta artigianale di Piedone lo sbirro, in segno della loro gratitudine. Questi tre ragazzi seguivano Bud Spencer ovunque e per molto tempo furono trattati quasi come dei simpatici scocciatori. Dopo vari anni scoprimmo che Marcus, ex poliziotto, aveva superato un gravissimo incidente, che rischiava di lasciarlo paralizzato a vita, perché durante la lunghissima convalescenza aveva ritrovato la forza di rimettersi in piedi guardando mille volte i film di Bud e Terence. Yorgo è non vedente dalla nascita e ha avuto un'infanzia drammatica. Gli unici momenti di gioia della sua vita gli venivano dal vedere i loro film. Yorgo conosce tutte le scene ed è capace di suonarne con la fisarmonica le colonne sonore. Dopo otto anni sono riusciti a consegnargli la marionetta di Piedone, poche settimane prima della sua scomparsa. Il documentario è stato presentato al Festival di Monaco con enorme successo ed è ora in centinaia di cinema in Germania ed Austria. Divertente, emozionante, ripercorre la vita e la carriera di papà, visto dal suo pubblico. Un magnifico regalo per la nostra famiglia».

Altre iniziative in programma per ricordare suo padre?

«Fra qualche mese sarà pronta una grande mostra a Napoli. A Natale uscirà un bellissimo videogioco sulle avventure di Terence Hill e Bud Spencer corredato dalle musiche dei loro film. Prodotto in Germania, anche questo nasce dall'iniziativa di un gruppo di fans italiani. È da poco uscito un libro a fumetti ispirato a Trinità e Bambino. Il pubblico di almeno tre generazioni vede ancora nel lavoro di Terence a Bud un messaggio di grande positività e gioia. Stiamo sviluppando anche una fiction sulla vita di Carlo Pedersoli: l'infanzia a Napoli durante la guerra, i successi nello sport, le avventure in Sud America fino al rocambolesco incontro con Terence sul set di Dio perdona..io no!».

Senta, ma un cazzotto vero, suo padre glielo ha mai dato?

«Ancora me lo ricordo. Non è stato un cazzotto vero, piuttosto una manata su una coscia. Probabilmente gli avevo risposto male.

Non l'ho fatto più».

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