Controstorie

Il mistero Dogon un popolo che vive ancora nel passato

C'è un luogo in Mali dove perfino la storia resta fuori. I Paesi Dogon sono una scommessa. Da un lato una falesia irta che precipita a valle per 400 metri, fra sentieri impervi e passaggi scoscesi. Dall'altra le dune morbide e seducenti, al confine col Burkina Faso, a chiudere, come quinte, questi 150 km di «canyon a metà». Qui gli uomini vivono come secoli fa: coltivano quel tanto che basta, adorano feticci che è vietato toccare, intagliano maschere per ogni occasione, credono che la terra abbia forma di donna e sanno sempre quando Sirio apparirà in cielo. Un paio d'ore a est di Mopti, fra Dourou e Banani, il tempo si ferma e si ricomincia a vivere senza. Con poco o nulla per le mani e moltissimo nel cuore. Le guerre, gli interessi economici, le grandi religioni, il progresso e perfino il futuro non sono esattamente l'argomento del giorno per chi viva ancor senza acqua e luce e conta cinque giorni ogni settimana. Un paio di medici per l'intera popolazione di poco meno di 250mila persone, quando estrai un'aspirina o qualunque pastiglia, l'occhio saggio degli anziani come quello vispo dei bambini balena prima di ogni richiesta, ma che importa? I Dogon da sempre badano a se stessi e si bastano. Il mito e gli studi dell'antropologo francese Marcel Griaule che li scoprì negli anni Trenta del secolo scorso - ne fa grandi conoscitori di cosmologia e astronomia e, anche se è difficile comunicare se non con sorrisi e sguardi, non è impossibile credere che qui la volta celeste non abbia segreti. La notte, quando si prende posto per dormire sui tetti, dato che nelle case di argilla farebbe troppo caldo, non resta che guardarlo quel cielo di stelle e scrutarlo in ogni sua piega. Animali e figli stanno vicini perché sono l'unica ricchezza. Qui il turismo aveva portato qualche fuori strada che sfrecciava lungo le dune a caccia di belle inquadrature, ma il modo migliore per visitare i luoghi è a dorso si zebù, o meglio convincendone uno a trasportare almeno lo zaino sulla sabbia del fondovalle. A passo d'uomo, del resto, le cose si inquadrano meglio: così vieni a sapere perché le case di rappresentanza, i toguna, sono così basse: «Per entrarci chinerai il capo, piegandoti di fronte agli altri e sarai meno incline a litigare e ad alzare la cresta», ti spiegano gli esperti locali. Fra le mille tribù che compongono il popolo maliano, quella dei Dogon è ancora un mistero per gli studiosi. Loro non legano, rifiutano un'idea troppo fusion del loro Paese. E alla globalizzazione preferiscono l'«aventino»: per questo ti mostrano con orgoglio le abitazioni dei loro antenati, i tellem, abbarbicate su, sulla falesia. Ora sono usate come luogo di sepoltura: i defunti vengono issati con le corde all'interno delle antiche cavità. Scendere sarà impossibile, anche per la loro anima. Così giù la vita continua. Come sempre, senza tempo.

Lucia Galli

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