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Allarme jihadismo, la sfida dell'Occidente: dove colpirli

Sharia, moschee, carceri, web: quattro punti per impedire ai jihadisti di avere la meglio. Testi a cura di Andrea Cuomo

Allarme jihadismo, la sfida dell'Occidente: dove colpirli

1) La sharia - La norma di Dio non è più forte di tutto

La prima cosa che va soffocata è la tendenza di parte della comunità islamica a considerare la legge della «sharia» superiore a quella dello Stato in cui vive. Secondo vari sondaggi una percentuale che oscilla tra il 25 e il 30 per cento dei musulmani è convinto di non dover seguire nessun regola qualora confligga con il proprio credo e il 24 per cento addirittura è favorevole alla «violenza nel nome di Allah». È questa quindi la linea rossa che separa gli islamici integrati, quelli che rispettano i nostri valori condivisi di democrazia e diritti civili, da quelli pronti a ribellarsi anche con la forza all'Occidente. Per questo la magistratura deve colpire duramente i predicatori dell'islam nemico.

2) Le moschee - Creare finalmente l'albo degli imam

Uno dei primi passi per contrastare l'espandersi dell'islam «cattivo» è operare sulle moschee delle nostre città, che spesso sono il brodo di coltura della radicalizzazione di tanti giovani sbandati. Da anni si parla della creazione di un albo degli imam supervisionato dallo Stato con la collaborazione delle comunità islamiche moderate ma questa misura a tutt'oggi non è mai diventata realtà. L'ultimo a prometterlo fu nel corso dell'estate del 2016 il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Lettera morta. Come lettera morta sono rimasti anche i corsi per la formazione degli imam. I predicatori dell'odio continuano così a sfuggire ai controlli e le moschee sono il circolo culturale di wahabiti, salafiti e Fratelli Musulmani.

3) Le carceri - Basta coi predicatori del male in cella

In Francia già negli anni Novanta le carceri sono diventate il «vivaio del jihadismo», con folle di giovani criminali delle banlieue condotti per mano alla radicalizzazione dai cattivi maestri della predicazione. Un rischio che ormai da anni corre anche l'Italia, tanto che qualche mese fa perfino il premier Paolo Gentiloni ha dovito constatare che «i percorsi di radicalizzazione si sviluppano soprattutto nelle carceri e nel web». Peccato che sia stato soprattutto il governo Renzi, di cui lo stesso Gentiloni ha fatto parte, a servire su un piatto d'argento la jihadizzazione delle nostre patrie galere grazie all'accordo del 2015 con l'Ucooi per aprire alla predicazione degli imam otto carceri italiane tra cui Torino, Milano, Brescia, Verona, Modena, Cremona e Firenze.

4) La Rete - Google&Co devono collaborare

Ma è soprattutto la Rete, con le sue regole blande e con la sua assenza di confini, lo strumento principale del proselitismo della jihad. Servono regole più stringenti e una maggiore collaborazione con gli Stati, le polizie e l'intelligence da parte di Google e delle multinazionali che gestiscono i principali social network. Lo Stato deve poter esercitare la propria sovranità sulla rete imponendo ai gestori non solo la distruzione e l'eliminazione di tutti i siti che ospitano propaganda jihadista, ma anche la vigilanza e la segnalazione preventiva sui contenuti sospetti.

Ma Google, Facebook, Twitter e gli altri gestori finora sono sembrati sensibili soltanto ai profitti garantiti dai proventi pubblicitari legato al numero dei «clic».

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