Mondo

Anche la Cina corre ai ripari contro la bassa natalità

Per combattere il basso tasso di nascite che da anni affligge la Cina, in questi giorni numerosi parlamentari hanno presentato delle proposte di legge per l'abolizione delle politiche di pianificazione familiare e l'istituzione di incentivi per la maternità

Anche la Cina corre ai ripari contro la bassa natalità

Nonostante il suo quasi miliardo e mezzo di abitanti, negli ultimi anni anche la Cina è stata costretta a dover fare i conti con il problema della denatalità e con le probabili future conseguenze di una popolazione che invecchia sempre di più. È di questi ultimi giorni infatti, la notizia di alcuni parlamentari cinesi che stanno chiedendo a gran voce l'abolizione, o quantomeno una profonda revisione, delle politiche nazionali di pianificazione familiare. Una richiesta fatta allo scopo di invertire il trend attuale di nascite, che ha visto nel 2018 il minor numero di nuovi nati nel paese - poco più di 15 milioni - dal 1961, cioè dai tempi della cosiddetta Grande carestia cinese, durante la quale il susseguirsi di calamità naturali e cattive politiche economiche portarono milioni di persone a morire di fame. Nelle proposte di legge presentate all'Assemblea nazionale del popolo, i parlamentari provenienti da tutta la Cina hanno chiesto infatti ai propri superiori l'istituzione di incentivi per la maternità, come agevolazioni fiscali ed istruzione pubblica gratuita, oltreché un miglioramento generale delle strutture medico-sanitarie del Paese.

Alcuni di essi hanno addirittura auspicato l'abolizione della pratica del controllo delle nascite, puntando ad eliminare dalla costituzione ogni riferimento alla pianificazione familiare, oltreché abolendo nella sua totalità la politica del figlio unico. La controversa misura venne infatti istituita nel 1978 e solo recentemente è stata resa più morbida dalle autorità statali proprio al fine di combattere - con risultati pressocché nulli - la denatalità, consentendo dal 2016 alle coppie cinesi di poter avere un secondo figlio senza incorrere in multe salate o aborti forzati. Interrogato sulla questione, il parlamentare della provincia di Guangdong Li Bingji ha spiegato come quella demografica dovrà essere la principale priorità del governo cinese almeno per i prossimi quattro decenni: "Il controllo continuo sulla fertilità sconfiggerà inevitabilmente lo scopo di quest'ultima e renderà ancora più difficile risolvere il radicato problema della decrescita della popolazione".

Malgrado le proposte dei parlamentari non siano giuridicamente vincolanti, il fatto che siano state presentate contemporaneamente ed in così gran numero - in cinque di queste si parla esplicitamente di "completa liberazione della fertilità" - potrebbe probabilmente indurre i vertici del Partito comunista ad aprire un dialogo su un tema così fortemente sentito dalla popolazione. Come spiegato inoltre dalla ricercatrice dell'Università di Harvard Susan Greenhalgh, che da anni studia la politica del figlio unico, la messa in discussione delle politiche di pianificazione familiare sarebbe un cambiamento rivoluzionario all'interno della società cinese: "Eliminare dalla costituzione l'assunto secondo cui tutte le coppie devono pianificare la nascita dei propri figli sarebbe un importante cambiamento nel modo di pensare, poiché la pianificazione della produzione umana a livello nazionale, dalla metà degli anni '70, è stata ritenuta vitale per la modernizzazione della Cina come pianificazione della produzione economica".

Proprio l'aspetto economico è quello che preoccupa maggiormente i critici della pianificazione familiare, allarmati dalle prospettive secondo cui entro il 2035 un quarto della popolazione cinese sarà costituito da ultrasessantenni - contro il 17,3 per cento del 2017 - percentuale destinata a salire vertiginosamente entro la fine del secolo, quando la Cina sarà composta per metà da over 60. Un inarrestabile declino che secondo uno studio dell'Accademia cinese di scienze sociali porterà la popolazione a diminuire a partire dal 2027, raggiungendo nel 2065 più o meno lo stesso numero di abitanti del 1990, 1,17 miliardi di persone, a cui ovviamente va aggiunto un crollo della forza lavoro di circa 200 milioni di persone. Lo scenario a cui la Cina sta andando incontro assomiglia sempre più a quello del vicino Giappone, dove ormai da decenni la stagnazione è sia economica che demografica, pur presentando tuttavia una sensibile differenza, spesso evidenziata dai media locali: il Paese sta infatti invecchiando più velocemente di quanto si stia arricchendo.

Secondo Steven Mosher, Presidente del Population Research Institute, la Cina entrando a tutti gli effetti in una fase di recessione inarrestabile: "La Cina ha creato una trappola demografica mortale per se stessa, condannandosi a una crescita bassa o inesistente per gli anni a venire. Questo indipendentemente da quanti bambini le donne cinesi possano dare alla luce, sia usando la persuasione che la coercizione". Nefasta previsione parzialmente condivisa anche dalla già citata dottoressa Greenhalgh, che tuttavia concede una flebile speranza in caso di drastici interventi governativi: "Praticamente nessun paese al mondo è stato in grado di stimolare i tassi di natalità per un significativo periodo di tempo dopo che i suddetti tassi sono diminuiti a causa della modernizzazione. Se però il governo cinese incoraggiasse le donne nubili over 30, o le coppie omosessuali, ad avere un figlio, questo potrebbe fare la differenza.

Ma tali cambiamenti sembrano improbabili dato il conservatorismo sociale dell'attuale regime".

Commenti