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L'Australia approva la legge contro il ritorno dei foreign fighters

La normativa australiana ha subito ricevuto accuse di “disumanità” e “incostituzionalità” da diverse ong e associazioni di giuristi

L'Australia approva la legge contro il ritorno dei foreign fighters

Il parlamento australiano ha appena approvato una legge “anti-foreign fighters”.

L’organo legislativo ha infatti dato parere favorevole alla normativa anti-terrorismo promossa dal primo ministro conservatore Scott Morrison e dal suo ministro dell’Interno Peter Dutton. In base alle nuove disposizioni, le frontiere del Paese saranno chiuse a tutti i cittadini australiani che si sono finora recati all’estero per combattere al servizio di organizzazioni terroristiche, in particolare al servizio dello Stato Islamico.

La legge in questione è stata appunto voluta dal governo Morrison una volta constatato il fatto che ben 250 connazionali avrebbero, a partire dal 2014, lasciato il Paese del Commonwealth per raggiungere la Siria e l’Iraq al fine di partecipare alle sanguinarie campagne militari condotte dall’Isis. Con il collasso dell’entità jihadista, questi soggetti, hanno più volte segnalato le autorità di Canberra, starebbero pianificando il loro ritorno in Australia per proseguire lì la loro folle guerra contro l’Occidente. Di conseguenza, la riforma sollecitata dal conservatore Morrison introduce rigorose misure di prevenzione contro le infiltrazioni di islamisti nel territorio federale.

Le disposizioni volute dall’esecutivo di Canberra vietano l’ingresso nel Paese a qualsiasi suo cittadino, uomo, donna o bambino, che abbia partecipato all’estero a iniziative promosse da gruppi antioccidentali o che si sia lì sottoposto a “processi di radicalizzazione”. Tali prescrizioni, ha assicurato il ministro Dutton, preserveranno l’Australia dalla penetrazione di individui intenzionati a portare “morte e distruzione” e, sempre a suo dire, rappresentano un “radicale cambio di passo” rispetto alla “lassista” strategia anti-terrorismo sviluppata dai governi del passato. Secondo il titolare dell’Interno, inoltre, la recente normativa anti-foreign fighters sarebbe stata concepita dalle autorità federali traendo ispirazione da una legge già da anni in vigore nel Regno Unito.

Il divieto di ingresso nel Paese per gli Australiani “radicalizzati” è stato subito bollato dalle ong umanitarie come una decisione disumana, in quanto condannerebbe i connazionali di Morrison e Dutton rimasti in Siria e in Iraq dopo il crollo dello Stato Islamico a una “indefinita permanenza nei campi profughi sparsi in tutto il Medio Oriente”. Critiche alla riforma sollecitata dall’esecutivo conservatore sono state lanciate anche dal Law Council of Australia, organismo che riunisce i principali giuristi nazionali. Tale associazione ha appunto etichettato come “incostituzionale” il fatto che un Paese chiuda per un tempo indefinito le proprie frontiere a dei suoi cittadini, anche minorenni, costringendoli a restare in territorio straniero circondati da “innumerevoli rischi” per la loro incolumità.

Alle contestazioni in questione, Dutton ha replicato accusando le ong e i giuristi australiani di “non avere minimamente letto il testo della legge”. In primo luogo, il divieto di rientro in patria imposto ai foreign fighters, ha spiegato il ministro dell’Interno, non avrebbe una durata indeterminata, ma sarebbe valido non oltre due anni. Tale restrizione, inoltre, verrà comminata dalle autorità federali non “in maniera arbitraria e indiscriminata”, bensì seguendo un approccio attento a soppesare la “specificità delle situazioni individuali”.

L’esecutivo di Canberra adotterà appunto una linea “estremamente sensibile” verso le “donne con bambini a carico che stanno soffrendo nei campi profughi siriani e iracheni”, mentre severità e massima cautela verranno invece osservate dalle istituzioni australiane soltanto nei riguardi degli individui segnalati dall’intelligence come“altamente pericolosi per l’ordine pubblico”.

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