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Brasile, polizia interroga "a forza" l'ex ministro dell'Economia di Lula e Dilma

L’interrogatorio è stato coercitivo: se Guido Mantéga non seguiva la federale sarebbe stato arrestato. I magistrati l'accusano di avere aiutato un amico italiano a cancellare un debito milionario con il fisco verde-oro e di avere contribuito all'approvazione di una legge per favorire il settore automobilistico, Fiat in testa

Brasile, polizia interroga "a forza" l'ex ministro dell'Economia di Lula e Dilma

L’ennesima storiaccia di corruzione e tangenti arriva dal Brasile dove, stamane, la polizia ha prelevato coercitivamente a casa sua per interrogarlo (se non avesse accettato sarebbero scattate le manette) il ministro dell’Economia più longevo della storia democratica verde-oro, quel Guido Mantega che prima con Lula e poi Dilma aveva assicurato per quasi 9 anni continuità alle politiche espansive del gigante sudamericano. E che, soprattutto, aveva venduto nel mondo l’immagine del “miracolo” brasiliano, a tal punto che dal 4 all’11 ottobre del 2011 Mantega - che parla un ottimo italiano essendo nato a Genova, nel 1949 – aveva guidato una delegazione di 250 imprenditori verde-oro in Italia, offrendo addirittura l’aiuto dei BRICS (il gruppo dei paesi all’epoca emergenti che, oltre al Brasile, annovera tra le sue fila Cina, Russia, India e Sud Africa) per “dare una mano all’Europa in crisi”.

La vita è una ruota e, oggi, non solo il Brasile ha visto sciogliersi come neve al sole un decimo del suo Pil (da metà 2014 a fine 2016 queste sono le stime più ottimistiche), non solo a meno di tre mesi dalle Olimpiadi Rio non ha più soldi in cassa neanche per pagare i suoi dipendenti pubblici, ma Guido “l’italiano” – che oggi non è né deputato, né senatore, né ministro e, dunque, non gode di nessun ‘foro privilegiato’/immunità parlamentare – rischia la galera.

Da sempre considerato come “onesto” tanto da Lula come da Dilma, ora a coinvolgere sino al collo Mantega non è solo un operazione anti-corruzione della polizia, ma addirittura due.

La prima si chiama Zelotes e indaga su una frode fiscale da almeno 5 miliardi di euro che coinvolge da un lato aziende, banche e multinazionali assai note e dall’altro i membri del Carf, l’ultimo tribunale amministrativo a cui si può ricorrere per vedersi ridotte le multe e che dipende direttamente dal ministero dell’Economia.

“Qui solo i poveri cristi pagano le tasse, chi non può fare la ‘negociata’ (ovvero pagare la tangente, nda) che si fotta”, disse testuale uno dei consiglieri del Carf al telefono, senza sospettare di essere intercettato dalla polizia. Inoltre, quando a fine marzo 2015 l’operazione iniziò, The Economist la descrisse come “più devastante persino della Lava Jato”, la Tangentopoli verde-oro iniziata nel 2014.

L’interrogatorio “a forza” del Mantéga (l’accento, alla ligure, è in realtà sulla ‘e’) è legato alla compravendita di una sentenza del Carf ed all’“acquisto” di un decreto legge. L’ex uomo forte di Lula e Dilma avrebbe infatti usato la sua influenza presso il ministero dell’Economia per aiutare il suo amico di lunga data e socio d’affari Sandri, anche lui “italiano” ma soprattutto amministratore della Cimento Penha, a far abbattere ‘miracolosamente’ dal Carf una multa da 110,4 milioni di reais (circa 30 milioni di euro). Inoltre, sempre a detta degli inquirenti, Mantéga è sospettato di avere contribuito all’approvazione della MP 512, un decreto legge che ha favorito le multinazionali dell’auto a scapito delle casse dello stato brasiliano. “La MP 512 è frutto di un accordo tra Lula e la Fiat, sancito alla fine del suo secondo mandato con Dilma già eletta e con il patto che lei l’avrebbe approvata nel 2011", come poi in realtà accadde, scrive in un email il lobbista Vladimir Spíndola.

Dallo scorso novembre, il giudice responsabile dell’operazione Zelotes, aveva imposto di togliere il segreto bancario dai conti di Mantega e, l’interrogatorio coercitivo odierno, insieme ad una serie di email compromettenti, altro non è che la fase successiva di quella decisione.

Ma Mantéga è nei guai anche per la Lava Jato, la Mani Pulite verde-oro.

Soprattutto dopo che Marcelo Odebrecht - il presidente dell’omonima multinazionale in carcere da quasi un anno – avrebbe denunciato secondo il quotidiano Folha de Sao Paulo sia lui che Luciano Coutinho, presidente del BNDES, la più grande banca pubblica brasiliana che finanzia progetti esteri, di avere fatto pressioni indebite per finanziare la campagna presidenziale 2014 di Rousseff, in cambio di appalti.

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