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In Brasile va di moda la chirurgia plastica per i poveri

Il Brasile riconosce il "diritto alla bellezza", anche ai più poveri e, perciò, il governo finanzia ogni anno quasi mezzo milione di interventi di chirurgia plastica

In Brasile va di moda la chirurgia plastica per i poveri

In Brasile tutti hanno "diritto alla bellezza", anche i più poveri. Il governo, infatti, secondo quanto riporta il sito britannico The Conversation, finanzia quasi mezzo milione di interventi di chirurgia plastica ogni anno.

Ma da un'indagine svolya dall'antropologo medico Alvaro Jarrin risulta che "gran parte di questi interventi di chirurgia plastica sono molto rischiosi e negli ospedali pubblici dove vengono operati i medici li chiamano "cobaias" (porcellini d'India)". Per molte donne operarsi risulta necessario sia per trovare un lavoro sia nella ricerca di un coniuge e così, nelle cliniche pubbliche, le liste d'attesa si allungano ogni giorno facendo diventare il Brasile il secondo più grande consumatore di chirurgia estetica al mondo, con 1,2 milioni di interventi all'anno. In Brasile, dalla caduta della dittatura nel 1984, esiste la sanità pubblica universale ma gli ospedali hanno pochissime risorse e la maggior parte della brasiliani della classe medio/alta si rivolgono al privato. La chirurgia plastica è considerata un servizio essenziale grazie al chirurgo Ivo Pitanguy che, alla fine degli anni '50, convinse il presidente Juscelino Kubitschek che il "diritto alla bellezza" era fondamentale come qualsiasi altro problema di salute perché la bruttezza era causa di tanta sofferenza psicologica. "Nei primi anni '20, - scrive The Conversation - erano stati proprio gli scienziati eugenici brasiliani a suggerire che la bellezza fosse una misura del progresso razziale della nazione. I chirurghi plastici ereditarono questi ideali, cominciando a vedersi come coloro che dovevano "correggere" gli errori del melting pot razziale che andava costituendosi in Brasile, in particolare tra le classi inferiori"

Così, nel 1960, Pitanguy aprì il primo ambulatorio che offriva chirurgia plastica ai poveri e serviva anche per formare i nuovi chirurghi. Il "patto" era semplice: "interventi chirurgici gratuiti o a basso costo, in cambiò della disponibilità dei pazienti a farsi operare da chirurghi giovani e inesperti, aiutandoli a imparare il loro mestiere". Nel suo libro "La biopolitica della bellezza", Alvaro Jarrin, svela tuttavia che "Se fino a qualche decennio fa vittime di incendi e individui con deformità congenite erano i principali beneficiari della chirurgia plastica, oggi quasi il 95 percento di tutti quelli interventi chirurgici sono diventati puramente estetici". "In centinaia di casi, - prosegue lo studioso - chirurghi e residenti hanno addirittura confuso i confini tra procedure ricostruttive ed estetiche, per farseli finanziare dal governo.

Inoltre, la maggior parte delle innovazioni chirurgiche, vengono prima testate dai chirurghi plastici degli ospedali pubblici, esponendo questi pazienti a più rischi rispetto a quelli più ricchi".

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