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Il Burundi guarda al suo futuro con il fiato sospeso

Dopo le elezioni, il cui risultato è scontato (Nkurunziza non aveva oppositori), c'è il rischio che il Paese sprofondi di nuovo nella guerra

Il Burundi guarda al suo futuro con il fiato sospeso

«Bujumbura non è mai stata così spenta e triste » commenta Melchiade, giornalista alla Rtnb, la emittente radio-televisiva nazionale del Burundi. Difatti da 3 mesi a questa parte, la capitale del piccolo Burundi è stata vittima di manifestazioni, rivolte e uccisioni indiscriminate dopo che lo scorso 26 aprile il presidente uscente Pierre Nkurunziza ha annunciato che si sarebbe ricandidato per le elzioni presidenziali di giugno (poi slittate a martedì scorso). La rabbia era sul viso della maggioranza della popolazione che aveva già visto andare in fumo gli accordi Arusha, ottenuti con il sangue del popolo nel 2000 e che hanno sancito la fine della guerra civile che durava dal 1993. L’articolo 96 della costituzione burundese parla chiaro: il presidente eletto direttamente dalla popolazione può essere rieletto al massimo una volta. Nkurunziza ha però contestato questo articolo, tentando di cambiarlo già nel marzo del 2014 e addirittura scavalcandolo a fine aprile del 2015 con la giustificazione che nel 2005 era stato eletto da un comiato elettorale e non dal popolo stesso. Dopo che le elezioni sono state spostate da fine giugno al 21 di luglio, il paese è stato colpito da varie rivolte, soprattutto giovanili. Si contano un centinaio di morti e circa 150 mila sfollati, scappati alle intimidazioni, gli assalti e le uccisioni dell’esercito e della polizia fedele al partito al potere del presidente, il Cndd-Fdd.

Il voto presidenziale di martedì 21 luglio, contestato ormai dalla comunità internazionale e da una buona fetta della poplazione burundese, è stato però boicottato dalla maggioranza della gente e dagli avversari del presidente, che all’ultimo hanno deciso di ritirarsi dalle loro rispettive candidature. «Abbiamo deciso di non presentarci a queste elezioni dal momento che non ci è stato permesso di fare la camapagna e siamo stati dichiarati illegali dal partito al potere» ha dichiarato Agaton Rwasa, principale esponente dell’opposizione a Pierre Nkurunziza ed ex-combattente durante la guerra civile. Il clima durante la giornata è stato molto teso. Le persone non sono andate a lavorare. La città di Bujumubura è deserta e per le strade dei quartieri non c’era quasi nessuno. Solamente alcuni giovani portavano delle pietre per bloccare la strada alle jeep dell’esercito e della polizia, armate di mitragliatori come se fosse in corso una guerriglia. La polizia ha ricevuto l’ordine di non sparare, per non spaventare la gente ad andare alle urne, anche se la notte prima le granate sono volate e i morti ci sono stati. Di 3 decessi è stato il bilancio della notte antecedente le elezioni, tra cui uno nel principale quartiere dell’opposizione a Bujumbura, chiamato Nyakabiga. Il cadavere era di un esponente di un partito contro il potere di Nkurunziza, l’Msd (Movimento di solidarietà e democrazia). «I servizi segreti hanno portato qui il cadevere apposta per accusare il quartiere di essere contro l’opposizione» hanno raccontato alcuni giovani del quartiere, intenti a mettere delle pietre sulla strada per proteggersi. « Toccare una pietra può essere letale, rischiano di ucciderti.

Quando cala la notte, le trincee e le pietre bloccano i passaggi fra un quartiere e l’altro. Nessuno può uscire ne entrare. Hanno tutti molta paura » commenta Melchiade. La polizia, a detta dei giovani del quartiere, sono molto più violenti che l’esercito. « Non aspettano altro che l’ordine di sparare e picchiare. Ci ammazzano come tutti i giorni. Entrano di notte per non essere visti, ecco perché ci difendiamo» dicono gli abitanti di Nyakabiga. I seggi elettorali qui, non sono stati nemmeno aperti. Nessuno è andato a votare. La situazione nel quartiere di Nyakabiga non è però un’eccezione. Musaga, altro quartiere alla perfieria di Bujumbura classificato fra i più contrari, è recintato di filo spinato. Nessuno vuole saperne di parlare, dal momento che rischierebbero di morire, e si barricano dietro montagne di terra e pietre, aspettando il calar del sole per prepararsi al peggio. La guerra a Bujumbura, comincia la notte. I seggi elettorali del quartiere, posti su un campo da calcio mal ridotto, sono totalmente vuoti.

«Hanno votato meno di mille persone su 34 mila aventi diritto» hanno commentato Cédric e Clarisse, due giornalisti del quotidiano nazionale «Iwacu» (tradotto dal kirundi «a casa nostra »). Quei pochi che hanno votato, cercano di togliersi l’inchiostro dal polpastrello per evitare che i propri concittadini li vedano con sospetto. Regna la paura, non solo a causa delle forze dell’ordine, ma anche per via della popolazione stessa, ostile ad ogni compiacimento verso il governo. Anche a Ijenda, una cittadina nel centro del paese, le affluenze sono state deprimenti. Qui, dice l’esponente principale del Ceni (il cominato elettorale nazionale indipendente), hanno votato meno di cento persone su più di 1400 votanti, un miseria. Ijenda è stata il fulcro delle manifestazioni a livello nazionale durante gli ultimi tre mesi. Questo piccolo paesino di campagna e molto povero è pronto a tutto pur di non vedere Nkurunziza prendere di nuovo il potere. Ancora i giovani, riunitisi introno al negozietto di un giovane venditore, si sfogano parlando di quello che sta succedendo. « Il presidente deve andarsene, noi siamo pronti a combattere pur di non lasciarlo al potere » afferma sorridendo Bernard, il padrone del piccolo commercio. Tutti riuniti insieme, ascoltano la radio «voix de l’Amerique », una radio creata dagli americani in kirundi (la lingua nazionale) e indipendente. Ultimamente tutti i media privati che si sono opposti al governo sono stati bruciati e i giornalisti sono dovuti scappare. L’unica emittente rimasta è stata quindi la Rtnb. La mittente americana è rimasta l’unica a potere dare un resoconto e un dibattito neutro. Facebook e i siti della stampa internazionale sono inoltre altri strumenti usati per informarsi. Alcuni giornalisti scappati in Ruanda hanno infine fondato una radio e un sito, chiamato « Rpa-Amakuru » (fondato da giornalisti della mittente privata burundese RPA, la quale sede è stata bruciata a Bujumbura) per permettere alla popolazione di rimanere informata. «Se otterrà il terzo mandato, il che è praticamente certo, ci sarà la guerra», ha esclamato Bernad, « troppe persone sono sparite senza più tornare » urla un altro ragazzo.

A 24 ore dai primi risultati ufficiali la situazione è quella che tutti si immaginavano già prima dell’inizio di quella che è stata definita una grande « mascarade » (« farsa » in italiano). Nkurunziza sarà il grande vincitore, dal momento che non ha avuto nessuna opposizione e che i primi conteggi terminati nella giornata di mercoledì lo vedono in netto vantaggio. A Bujumbura la percentuale di partecipazione è stata molto bassa, come nel resto del paese. Il CENI si è lamentato ufficialmente ma le fonti ufficiali dicono che l’affluenza alle urne è stata fra il 70 e l’80%, insomma un successo. A chi credere dunque, non si sa. I dati ufficiali daltr’onde provengono direttamente dal partito al potere, che sicuramente li avrà cambiati secondo le proprie preferenze. Non è però dello stesso avviso il portavoce ufficiale di Pierre Nkurunziza, Willy Nyamitwe che ha dichiarato un successo queste elezioni dal momento che il popolo burundese ha votato legittimamente e senza bisogno di commenti e opionioni estere. « Le rivolte sono state organizzate da chi non accetta la realtà dei fatti – ha commentato Nyamitwe – e la candidatura del presidente è stata dichiarata legittima dalla corte costil risultatoilituzionale, visto che il primo mandato del presidente non era stato votato dal popolo. Nkurunziza ha quindi avuto il diritto assoluto di ricandidarsi » ha dichiarato. « Gli sforzi condotti dal governo in questi anni hanno dato i loro frutti. Abbiamo fatto molto per la gente in Burundi e abbiamo ancora molto da implementare. La popolazione ci ha mostrato che è al nostro fianco”. Tuttavia le cose non sembrano essere proprio così. Solamente la sede del partito Cnss-Fdd, addobbata con aquile e materiale pregiato, mostra come il governo di Nkurunziza non abbia fatto nulla per la sua popolazione durante dieci anni di governo. E per affermare questo basta sentire cosa ha da dire la gente.

«Siamo regrediti» commenta Agaton Rwasa. Ha passato 20 anni vivendo nella foresta con il suo esercito. Quando è tornato in città si è candidate alle presidenziali del 2010 ma ha dovuto fuggire all’estero dopo che aveva contestato le elezioni. «Hanno pensato a riempire le loro tasche senza implentare nulla. Nkurunziza deve partire e accettare la sconfitta. Lo deve fare per dare una speranza al suo popolo. Ha fatto perdere la speranza a tutti, ma soprattutto ai nostril giovani. Spero che le negoziazioni possano riprendere e che si trovi una soluzione pacifica, ma il paese è sull’orlo della Guerra”. Non più una guerra etnica, bensì politica. La società civile burundese ha dimostrato di essersi sviluppata negli ultimi anni, al contrario dell’economia e delle condizioni di vita. Durante gli ultimi mesi l’opposizione ha dato un segale forte al potere centrale, intento a trasformare un governo pluripartitico in un’autocrazia. Questo è certamente un punto positivo anche per il continente nero, dal momento che è già la seconda volta, dopo il Burkina Faso nel 2014, che una società africana si ribella alle intenzioni ambigue dei loro governanti. Tuttavia in Burundi una società divisa rischia di creare una spaccatura indelebile e riportare nel baratro della guerra un paese che ha conosciuto la pace e la democrazia appena 10 anni fa.

A Kamenge, un quartiere a favore del presidente, le persone fanno intendere che i manifestanti hanno sbagliato a ribellarsi. Non è il modo giusto per cambiare le cose. «Noi siamo burundesi e siamo fieri di esserlo. Non ci interessa quello che pensano al di fuori del paese. Le elezioni si svolgono in modo legittimo» dice una signora in tono minaccioso. Questo, il segnale di una spaccatura forte all’interno della società stessa.

I giornalisti stranieri sono visti con sospetto. Le persone hanno paura di parlarvici dal momento che potrebbero essere visti e spiati. « Rischiamo la morte. Se per caso la polizia scopre che abbiamo parlato a un « muzungu » (bianco) di quello che succede davvero, possono ucciderci » sussurra Mister K, un 17.enne del quartiere di Nyakabiga. È stato torturato e picchiato dopo aver manifestato. Ha deciso di farsi intervistare solamente se portato in un posto sicuro senza che nessuno abbia il sospetto. « Mi hanno catturato il 28 aprile, subito dopo l’espolosione delle prime rivolte. Ho passato due giorni al commissariato, una settimana nel centro dei servizi segreti e un mese e mezzo in carcere ». Durante queste settimane Mister K è stato interrogato insieme ad altri 10 manifestanti del suo quartiere. “Per farci parlare ci hanno strappato le unghie dei piedi e picchiato con dei bastoni e ferri roventi”. Ancora oggi risente delle botte nei muscoli, racconta. «Ci sono dei momenti nei quali non riesco nemmeno a camminare dal dolore ». Mister K è la testimonianza diretta che il governo Nkurunziza non si sia di certo tirato indietro pur di ottenere quello che voleva e reprimere l’opposizione. «Se bisognerà manifestare, io sono pronto a ritornare in prima fila come l’ultima volta. Sono pronto a morire ». Personalmente però, non ha nulla contro la persona di Pierre Nkurunziza. Non tollera semplicemente il modo in cui lui e il suo governo abbiano reagito. «Devono andare via, devono accettare e rispettare la costituzione. Altrimenti la popolazione burundese combatterà, ne sono certo».

A Bujumbura il clima è sempre molto teso mentre si attendono con ansia i risultati, anche se già conosciuti, per vedere come si dovrà procedere. Per il partito al potere di certo il compito diventerà sempre più difficile dal momento che ha perso molta credibiltà nella popolazione e nella comunità internazionale, la quale ha già tagliato numerosi fondi indispensabili alla sopravvivenza dello stato.

Dalla parte dell’opposizione invece, ci si prepara al peggio. La popolazione è agguerrita, anche se molti sperano di non rivedere una guerra. I politici invitano alla calma, ma sarà complicato fermare 10 milioni di persone affamate e che non hanno visto un briciolo di miglioramento negli ultimi dieci anni. Certamente la disperazione farà la sua parte. Il vento del cambiamento soffia già in maniera piuttosto sostenuto sul lago Tanganika. Chissà che per il Burundi potrà essere una svolta positiva.

Anche se per il momento si prospettano tempi molto rigidi.

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