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Chi era veramente Eli Cohen, la migliore spia del Mossad

Reso noto al grande pubblico dalla serie "The Spy" di Netflix, Eli Cohen può essere considerata la spia più temeraria del mondo

Chi era veramente Eli Cohen, la migliore spia del Mossad

Eli Cohen era nato ad Alessandria d'Egitto nei primi anni '20; e a quanto dicono quelli che lo conoscevano, aveva scelto una sola missione nella sua vita: sacrificarsi per il suo popolo. E il suo popolo era quello che abitava le valli della Samaria, della Giudea e della Galilea. La terra che nel 1948 venne resa Stato d'Israele. Di bell'aspetto, appena trentenne, con occhi scuri profondi e sottili baffi neri ben curati, era un ebreo egiziano - un mizrahì - che al Cairo faceva parte di un'organizzazione clandestina allestita per aiutare gli ebrei a scappare dal Nord Africa attraverso le vie sicure che li avrebbero condotti in Israele; prima di venire a conoscenza di una retata che lo avrebbe senza dubbio portato al suo arresto e alla sua esecuzione: perché Eli Cohen, benché solo un "traghettatore di anime" alle quali procurava documenti falsi, era in stretto contatto con la cellula dell'Aman invischiata nell'Affare Lavon - membri del servizio segreto dell'esercito israeliano che pianificavano attentati e sabotaggi in Egitto affinché i britannici non ritirassero le loro guarnigioni, presenza che in un modo o nell'altro fungeva da garanzia sulla vita per tutti gli ebrei egiziani.

Nonostante la sua volontà di restare dov'era per aiutare la sua gente, lo scoppio della Guerra di Suez del 1957 costrinse Eli Cohen ad emigrare in Israele, dove venne reclutato dal Mossad - data la sua eccellente padronanza dell'arabo - per una missione tanto pericolosa quanto delicata: infiltrarsi nell'alta società e nell'establishment siriano che abitava Damasco e cercare di ottenere informazioni per scoprire come frenare i siriani che intendevano sabotare la rete idrica essenziale per dissetare la regione del Negev. Regione desertica che tra le altre aveva senza dubbio bisogno dell'acqua per quello che forse era il programma più segreto di Israele: raffreddare il reattore nucleare di Dimona. La spia addestrata in fretta e furia dall'Unità 131 non solo riuscì repentinamente nella sua missione, e nel fornire informazioni che permetteranno agli israeliani di sconfiggere l’esercito siriano sulle alture del Golan durante la “Guerra dei sei giorni” nel 1967; ma si rivelò così naturalmente dotata da divenire fidato "uomo" dei rivoluzionari del partito panarabo dei Ba'ath. Gli stessi che avrebbero rovesciato il governo, sostituendo chi presiedeva i ruoli chiave con personalità vicine e amiche a quel giovane e avvenente patriota siriano che in verità fungeva da occhi e orecchie del Mossad.

Tra il '62 e il '64, sotto la falsa identità che i servizi segreti gli avevano procurato, il giovane Kamal Amin Tabet, un imprenditore siriano di Buenos Aires, sfruttò ogni fonte e ogni mezzo in suo potere per informare regolarmente il quartier generale di Tel Aviv su ogni piano militari, sugli armamenti in arrivo e in uso, e su tutte le strategie di Damasco. Uno degli informatori chiave, completamente inconsapevole di avere a che fare con la gola profonda degli israeliti, fu addirittura l'uomo d'affari saudita Bin Laden; che aveva appena messo al mondo un figlio che sarebbe divenuto ben noto alle cronache negli anni a venire. Osama. Mentre i vertici del partito dei Ba'ath proponevano a Kamal il ruolo di viceministro della Difesa, le interferenze sospette provocate dalle apparecchiature con cui l'uomo di Israele inviava da Damasco due rapporti al giorno, tutti i giorni, vennero captate. I Servizi segreti siriani iniziarono a dare la caccia a una spia, che verosimilmente forniva agli israeliani coordinate dei loro spostamenti segreti e altre informazioni altamente classificate.

Nel 1965 la copertura di Cohen a Damasco era ancora molto solida. Ma quando Mukhabarat siriano captò nuovamente un segnale isolato nel completo silenzio radio che l'allestimento delle nuove apparecchiature inviate dai sovietici aveva lasciato durante una fase di ammodernamento. Oramai era lampante che qualcosa di completamente inaspettato si celava in quella che era stata identificata essere la casa di un caro e fedele amico del presidente Hafez; che lo conosceva fin dall'inizio della sua copertura in Argentina nel 1961; quando lui si fingeva un uomo d'affari arabo con il desiderio di tornare in Siria, e Hafez era soltanto un attaché militare presso l'ambasciata. Nel suo appartamento vennero trovati i codici segreti con i quali telegrafava in cifre le informazioni al Mossad, l'apparato radiotrasmittente, dei sigari imbottiti di dinamite e le pillole di cianuro che non fece in tempo ad inghiottire prima della cattura. Ma forse non sarebbe stato comunque tipo da farlo.

Il processo farsa, che si tenne a porte chiuse e senza alcun avvocato difensore, lo imputò colpevole di spionaggio condannandolo a morte 31 marzo. L'esecuzione sarebbe avvenuta solo a maggio. I mesi d'attesa sarebbero stati scanditi da continue torture attraverso l'elettroshock - i cui segni indelebili sul corpo e la mente di Cohen erano già visibili durante il processo. A nulla valsero gli appelli di sua moglie alle ambasciate siriane in Europa e gli appelli delle illustri personalità internazionali, tra cui Papa Paolo VI. A nulla valsero le offerte di negoziare giunte da parte degli emissari israeliani per scambiare la vita di Eli Cohen con quella di undici spie siriane cadute in mano del Mossad, di ingenti somme di denaro, forniture di indispensabili di medicinali e di allettanti materiali agricoli per il valore di milioni di dollari. La spia di Israele doveva morire. Poco prima di essere condotto al patibolo allestito nella piazza del mercato di Damasco, dove sarebbe stato lasciato a penzolare per una settimana con la sua sentenza al collo, quale monito per gli altri che sarebbero venuti dopo di lui, Kamal , l'uomo che era riuscito a guadagnarsi la stima e la fiducia del nemico giurato dello Stato ebraico tanto da essere innalzato a uno dei ruoli più delicati per combatterlo, scriveva di suo pugno l'ultima lettera della sua vita:

"Cara Nadia, miei cari, vi scrivo queste ultime parole sperando che la famiglia resti unita per sempre. Chiedo a mia moglie di perdonarmi, di prendersi cura di se stessa e di far studiare i nostri figli. Nadia adorata, ti invito a risposarti, se lo vorrai, perché i bambini abbiano un padre. Ti lascio libera scelta di decidere in coscienza. Non rimpiangere il passato, guarda avanti. Ti mando i miei ultimi baci. Prega per me. Tuo. Elie."

Finalmente, dopo quattro anni, era tornato a firmarsi con il suo vero nome, quello che sarebbe rimasto iscritto per sempre nella leggenda degli eroi del Mossad e d'Israele: Eli Cohen.

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