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«Ci fidiamo di voi. E vi apriremo il mercato russo»

«Noi ci fidiamo dell'Italia». Gli occhi azzurri di Ana Hrustanovic si accendono mentre scandisce queste parole. Ha studiato letteratura italiana, si è perfezionata a Perugia e a Roma, dove da tre anni rappresenta il volto ufficiale della Serbia in Italia. I due Paesi quest'anno festeggiano 135 anni di relazioni diplomatiche.

Buone relazioni ambasciatore?

«Direi ottime. Sono convinta che i nostri due popoli siano molto vicini. E da tempi antichi: 17 imperatori romani vengono dal territorio dela odierna Serbia! Anche se non abbiamo più confini diretti vi sentiamo come vicini di casa. Secondo me ci vogliamo bene».

Addirittura?

«Vari sondaggi in Serbia hanno indicato negli italiani il popolo più amato. E credo che siamo ricambiati. Dobbiamo ringraziare il contingente italiano in Kosovo e Metohija per aver protetto i nostri monasteri ortodossi. E negli ultimi mesi, mi ha commossa la generosità degli italiani verso il mio Paese colpito così duramente da disastrosi alluvioni».

Com'è la situazione ora?

«Abbiamo preso un duro colpo. Ci sono stati 57 morti, quasi 32.000 persone evacuate dalle loro case e danni per un miliardo e mezzo che hanno fatto invertire la rotta al nostro Pil, che sarà negativo quest'anno dopo la forte crescita del 2013».

Chi sono i migliori amici della Serbia nella scena politica italiana?

«Le nostre relazioni sono così solide da prescindere ormai dai rispettivi cambi di governo. Come esempio possiamo nominare Franco Frattini che ci ha sostenuto sia come commissario europeo che come ministro degli Esteri e nei ruoli successivi. Ma l'accordo di partenariato, l'eliminazione dei visti d'ingresso per i cittadini, i passi avanti nelle trattative per l'adesione del'Europa, sono tutti frutti di un lavoro congiunto con Roma».

Ma perché ci tenete così tanto a entrare nell'Ue, proprio ora che nei Paesi membri si diffonde l'euroscetticismo?

«I serbi si sentono già europei. Crediamo che sia un cammino naturale, inevitabile per il nostro Paese. L'attuale governo del premier Vucic ha imboccato con decisione la strada delle riforme necessarie. E le faccio notare che il nostro Parlamento è forse l'unico d'Europa in cui non ci sono partiti euroscettici».

La Fiat ha avuto un ruolo importante in questo cammino. Vi aspettate che nel nuovo piano industriale ci siano nuovi modelli affidati all'impianto di Kragujevac?

«I piani industriali giustamente li decide l'azienda. Ma non possiamo non sperare in una crescita di questo rapporto».

Sa che in Italia ci sono state polemiche perche la produzione della 500L è stata data allo stabilimento serbo?

«Noi non vogliamo rubare posti di lavoro all'Italia. La delocalizzazione al ribasso non è ciò a cui aspiriamo. Puntiamo a un modello di partnership basato su joint venture che consenta alle aziende italiane di esportare senza dazi in un mercato di 800 milioni di consumatori con Paesi come Turchia e Russia, con cui la Serbia ha stretti rapporti. Eliminare i dazi, che in Russia pesano per un 20% del valore della merce, significa per le aziende italiane diventare più competitive.

E quindi creare lavoro in Serbia, ma anche difendere l'occupazione in Italia».

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