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Gambia, due italiani arrestati per le reti di un peschereccio

Sandro De Simone e Massimo Liberati sono stati fermati per una rete "troppo corta" a bordo del loro peschereccio

Gambia, due italiani arrestati per le reti di un peschereccio

"Li hanno sbattuti in due celle identiche, ma separate. Sono due stanzoni di tre metri per quattro senza neppure un rubinetto. Le dividono con 16 o 18 criminali comuni del posto e non sappiamo neppure se gli arrivi da mangiare". Così Massimo Sabati, responsabile di Italfish, una compagnia di pescherecci di Martinsicuro in provincia di Teramo, descrive la sorte del capitano Sandro De Simone, 52 anni, e di Massimo Liberati, 50enne, direttore di macchina del peschereccio "Idra Q" fermato e messo sotto sequestro dalle autorità del Gambia lo scorso 12 febbraio.

"La nostra compagnia pesca da tanti anni lungo le coste atlantiche, ma una cosa del genere non ci è mai capitata. In Gambia lavoriamo da poco più di un mese, ma abbiamo tutti i permessi e operiamo con a bordo un osservatore incaricato dalle autorità locali. Quando la loro motovedetta ci ha fermato e i militari sono saliti a bordo sembrava tutto a posto. Il pescato nelle stive era di dimensioni regolari e le autorizzazioni per l'attività all'interno delle acque territoriali erano assolutamente a posto. Per fermare la barca e obbligare il nostro equipaggio a seguirli nel porto di Banjul, la capitale si sono appigliati ad una rete appesa in coperta. Era lì da un mese al sole, ma loro l'hanno misurata con un righello e hanno segnato a verbale una larghezza delle maglie di soli 68 millimetri contro i 70 consentiti. Insomma per due millimetri di differenza di una rete non utilizzata e probabilmente ristrettasi stando al sole ci ritroviamo con il peschereccio sequestrato, il comandante e il suo vice incarcerati, e Vincenzino Mora, un terzo italiano sottufficiale della provincia di Teramo, guardato a vista dai sei militari saliti sulla nave”. L'aspetto più preoccupante è però è la sorte dei due marinai ingoiati dalle galere di un paese che non brilla certo per il trattamento dei detenuti e il rispetto delle convenzioni internazionali.

"In quella galera - racconta Massimo Sabato - non solo non sono ammesse visite, ma non arriva neppure il cibo. Come in molte carceri africane se vuoi mangiare devi avere qualcuno che ti porti il cibo da fuori. Il nostro armatore è volato in Gambia e se ne sta occupando, ma il grande dubbio è se pranzi e cene arrivino a destinazione. Anche perché le autorità negano tutti i permessi di visita e l'ambasciata italiana più vicina è quella di Dakar in Senegal " - racconta il responsabile della compagnia di pesca. "In questo momento siamo nelle mani del console onorario, un indiano che poveretto cerca di fare del suo meglio. Ieri dopo mille richieste è riuscito ad entrare in carcere e ne è uscito sconvolto. Ci ha detto che non immaginava neppure lui una cosa simile. Tra l'altro è riuscito a parlare solo con il comandante mentre non è riuscito a trovare l'altro. L'avvocato dopo averci annunciato che le autorità avevano confermato la detenzione dei nostri colleghi ci ha invece spiegato di non aspettarci molto da lui.

Il Gambia non è proprio una democrazia e gli avvocati, ci ha fatto capire, si guardano bene dall'esporsi troppo".

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