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Il generale che parla italiano nella Herat liberata dai talebani: "L'Occidente non ci dimentichi"

A fine anno si concluderà la lunga missione della Nato iniziata nel 2002 con la strana sensazione di non aver ben capito se abbiamo vinto o perso

Il generale che parla italiano nella Herat liberata dai talebani: "L'Occidente non ci dimentichi"

Herat - Barbone folto e nero, divisa mimetica e telefonino che squilla di continuo. Il generale afghano, Ziarat Shah Abed, è una sorpresa: parla italiano e considera il nostro paese la sua seconda casa. Comandante della prima brigata del 207° Corpo d’armata di Herat combatte da 40 anni. La sua storia si incrocia con il mio lungo peregrinare giornalistico in Afghanistan.

Pasthun tutto d’un pezzo, da giovane capitano passò con i mujaheddin per fronteggiare l’invasione sovietica negli anni ottanta. Abed combatteva nelle province orientali dove i giornalisti entravano clandestinamente a piedi in Afghanistan. Un’avventura condivisa nel 1983 assieme a Gian Micalessin, che per gli Occhi della guerra andrà in Siria, ed Almerigo Grilz caduto in Mozambico con la cinepresa in mano. Nel 1996, quando i talebani conquistarono Kabul, il generale si ritirò verso nord seguendo il leggendario comandante afghano Ahmad Shah Massoud. Poco tempo dopo ho girato per un mese nell’emirato talebano fotografando la dimora dove viveva Osama Bin Laden a Kandahar. Peccato che mia moglie, appena tornato a casa, ha messo in lavatrice il giaccone dove avevo nascosto il rullino con le preziose foto, diventate bianche grazie al detersivo.

Dopo l’11 settembre 2001 il generale Abed si è preso la rivincita entrando per primo a Kabul con l’appoggio dei B 52 americani. Un giorno indimenticabile: compivo 40 anni e seguivo le sue truppe alla conquista della capitale.

Ad Herat i nostri destini si sono di nuovo incrociati. L’alto ufficiale che si è innamorato dell’Italia frequentando dei corsi militari nel nostro paese e si prepara a combattere da solo i talebani. A fine anno si concluderà la lunga missione della Nato iniziata nel 2002 con la strana sensazione di non aver ben capito se abbiamo vinto o perso. L’esercito afghano ci ospita alle porte di Herat a Camp Zafar, che significa “vittoria”.

Il generale Abed ne è convinto a patto “che l’Occidente non ci dimentichi”: Un errore già compiuto dopo l’invasione sovietica, che spianò la strada ai talebani.

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