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Israeliani via da Gaza: ritiro unilaterale

Distrutte le gallerie, il governo sposta parte delle truppe. Hamas: "Noi pronti a combattere ancora"

Israeliani via da Gaza: ritiro unilaterale

Gerusalemme - Il silenzio, ovvero il ritiro unilaterale israeliano, parziale, dal campo di battaglia, con una temporanea presenza di truppe su centri topici, sembra l'esito più realistico dopo la rottura della tregua da parte di Hamas con lanci di missili, il rapimento di Adar Goldin e l'uccisione di due dei suoi tre compagni a causa di un terrorista suicida.

La dimensione dell'esplosione, anche se i soldati di Tzahal cercano il compagno rapito porta a porta, lascia immaginare che il ragazzo potrebbe essere stato a sua volta ucciso, anche se non lo si dice a voce alta, mentre la famiglia si dice convinta che sia vivo e intima: non si esce da Gaza senza Adar. Ma l'idea che sia morto, triste che sia, lascia spazio al problema della guerra di Gaza in termini militari e politici: le gallerie sono state quasi tutte distrutte, le altre strutture belliche di Hamas (lanciamissili, missili, razzi, depositi di esplosivo armamenti vari, quasi tutti made in Iran) sono decimate, è a Gaza è a pezzi dagli uffici, alla tv, all'universita islamica. I poveri cittadini schiavi del regime di Hamas non osano reagire, ma striscia, nella sofferenza, oltre all'odio per gli israeliani, anche l'estraneità a chi li ha portati a quel punto. Perché mai Hamas, si chiede la gente, ha rotto dopo pochi minuti la tregua?

Dalla rottura del cessate il fuoco che ha tenuto il Gabinetto di Sicurezza in riunione fino alle 2 di venerdì notte si è assunto, mentre gli Usa, l'ONnu, l'Ue se ne rendeva conto, che Hamas non è un interlocutore per la tregua e tantomeno per la pace. Hamas vuole solo alzare il suo prezzo. Più di tutti già con la rottura del cessate il fuoco si è irritato Obama, primo mallevadore della tregua lunga 72 ore che avrebbe dato il tempo di discutere un accordo al Cairo. Ma qui c'è un errore nella logica occidentale: Hamas è parte di quella Fratellanza Musulmana che ha portato la rovina sull'Egitto, la porta sulla Tunisia, si nutre della sovversione indotta da Qatar e Turchia. Un'organizzazione con scopi escatologici ma anche di immediato interesse concreto, appetiti da soddisfare. Obama, irato come sarebbe ogni americano quando si rompe la parola data, ha detto l'indicibile: «Israele ha ragione, Hamas è fuori del giuoco». Ieri, mentre al Sisi (insieme a Renzi) menzionava la necessità di una pace per palestinesi senza mai citare Hamas, Israele ha deciso di non mandare una delegazione al Cairo. Ha detto alla gente del sud della Striscia: «Tornate a casa, non vi toccheremo». Un segnale di disimpegno e un avvertimento: se le vostre case vengono bersagliate, il responsabile è Ismail Hanyieh. E già da ieri si assiste a scene di disperazione perché chi torna a casa trova solo distruzione. Ma il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha dichiarato: «Il ritiro di Israele non ci impegna. Se necessario siamo pronti a continuare a combattere».

La decisione per ora sembra questa: annunciare la distruzione delle armi fondamentali di Hamas; guardare a un accordo internazionale che implichi l'Egitto e Abu Mazen, senza Hamas, che sorvegli il disarmo di Hamas. Molti ormai guardano a Gaza (anche nel mondo arabo) come a un pericoloso staterello che persegue sopravvivenza e guadagno con mezzi violenti.

Oggi Israele fornisce a Gaza elettricità, acqua, 250 camion di aiuti che passano ogni giorno dal valico di Kerem Shalom, da domani potrebbe guardare a Gaza come a uno stato in guerra. Se si realizzerà la fuoriuscita unilaterale di Tazhal ma Hamas seguiterà a bombardare, Israele risponderà. La risposta può prendere di mira la leadership, occupare una parte di territorio, usare gli aerei. «Nessun Paese -ha detto Obama- accetterebbe un bombardamento che manda i cittadini nei rifugi ogni 20 minuti, né di vivere su gallerie da cui ti spuntano in casa i terroristi».

Chissà se ora si è capito.

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