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L'Isis, l'attentato al Borussia e il calcio

Perché l'Isis dovrebbe avercela con il calcio? L'attentato al Borussia Dortmund e la pista islamica al riguardo riaprono prepotentemente una questione aperta anni fa, persino da Pasolini

L'Isis, l'attentato al Borussia e il calcio

L'Isis c'è l'ha con il calcio? Tutti i simboli della vita occidentale sono sicuramente obiettivi sensibili di Daesh e le tre esplosioni contro il pullman del Borussia Dortmund potrebbero, in effetti, avere a che fare con l'estremismo islamico. Il sospetto arrestato, poi, è un islamista: " Gli appartamenti dei due sospettati sono stati perquisiti e uno è stato arrestato. Secondo i magistrati l’attacco di martedì ha una motivazione terroristica".

Lo sport in generale, del resto, ha una forza che può spaventare gli estremisti. Se c'è una forma di eroismo comunitario rimasto in occidente, questo, è rintracciabile in alcune discipline sportive. Non certo negli ambienti di studio, nelle accademie o negli aperitivi del fine settimana. Il 13 maggio del 2006, sedici persone persero la vita a Samarra, città irachena a 125 km a nord di Baghdad. Altre venti rimasero ferite. L'elemento che accomunava questo gruppo era quello di essere tutti appartenenti al club Iraq Blancos, il fan club del Real Madrid, riunitosi quella sera per tifare il club nella finale di Champions League. Un episodio simile accadde a Mosul, quando vennero uccisi 13 ragazzi, rei di per aver assistito ad una partita di calcio, Iraq vs Giordania di Coppa d’Asia. Il radicalismo islamico ha più volte vietato di indossare le magliette dei club sportivi. A chi indossa la maglia del Milan, ma anche del Barcellona o del Real Madrid e delle principali squadre calcistiche occidentali, vengono solitamente inferte 80 frustate. Nella provincia di Al-Furat ed a Raqqa, nel nord della Siria, dentro quelli che sono o che erano territori dello Stato Islamico, la polizia fece divieto di indossare magliette targate Nike o Adidas, coinvolgendo quindi anche quelle sportive. Che il califfato ce l'abbia con le libertà individuali, insomma, non è una novità. E una partita di calcio attiene a quella sfera giuridica relativa alla libertà dell'uomo incomprensibile per un jihadista.

E dal calcio e con il calcio ripartono molte vite di perseguitati dal terrorismo. Come Seidou Soumaila, 19enne del Mali che gioca a con il Trastevere, club primo in classifica nel girone H della serie D. Porta ancora addosso le cicatrici e le percosse lasciate dalle brutalità dell'Isis. Precedentemente, in Mali, il padre venne ucciso da dei tuareg che volevano rubargli il bestiame. Lo sport, insomma, nonostante la sua finanziarizzazione ed il suo connotato ormai ultramediatico, resta ancora un viatico di speranza per molti. Il calcio è per gli estremisti islamici una pericolosa distrazione dal culto e niente più. " Le istituzioni religiose saudite nel passato precisarono che gli unici giochi ammessi erano quelli praticati nel VII d.C. Si aggiunse una sentenza (fatwa) del 2005, dove degli esponenti religiosi sauditi ammisero la competizione calcistica a patto che non venissero utilizzato termini di lingua straniera e che fosse preferibile giocare in un numero inferiore o superiore ad undici", si legge in questo pezzo. Ad essere messo in discussione, oltre al ruolo sociale, è la stessa simbologia dietro i valori sportivi occidentali. . Ali al-Ahmed, analista saudita, spiegò come “le gambe e le ginocchia sono scoperte quando si gioca calcio, e questo è vietato dal Corano”. I jihadisti non possono tollerare il calcio, poiché questo è totalmente distante dallo stile di vita promosso dal loro profeta. Sono molti, come se non bastasse quanto detto sinora, i casi di attentati compiuti durante le partite amatoriali. "Purtroppo spesso non abbiamo testimonianze dirette, sappiamo solo quello che viene riportato attraverso i video diffusi in rete. Ma è certo che indipendentemente dal rapporto con il calcio, lo stadio rimane un obiettivo importante perché permette di colpire un gran numero di persone, e per il grande impatto mediatico che ne consegue. E della lista fa parte ovviamente anche l’attacco allo Stade de France di novembre", disse alla Rivista Undici, James M. Dorsey, co-direttore dell’Institute for Fan Culture dell’Università di Würzburg.

Quello che la jihad odia del calcio è l'attenzione che questo sport produce nei partecipanti, calciatori e tifosi, procurando una conseguente distrazione dagli aspetti fondamentalisti che invece dovrebbero condire un'esistenza retta. Questo gioco, si sa bene, è lo sport del popolo. Non solo nei nostri confini nazionali. Socialmente riesce a coinvolgere qualunque fascia economica, qualunque fascia anagrafica e quasi ogni tipo di personalità psicologica. Il rapporto dell'islam con lo sport europeo per l'eccellenza è intriso d'odio, per questo non ci dovremmo stupire più di tanto se venisse fuori che dietro l'attentato al pullman del Borussia Dortmund ci fosse proprio Daesh.

Il calcio è una metafora della vita, diceva Jean-Paul Sartre. Pier Paolo Pasolini disse a Guido Gerosa, durante un'intervista ad "Europeo": "Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro". L'ultima, per l'appunto.

Motivo in più per far sì che l'Isis non riesca a sopportarla.

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