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Melinda Gates: "Sono ricca, voglio pagare più tasse"

La "femminista e "filantropa" ultra-milionaria Melinda Gates racconta a Repubblica di voler pagar più tasse ma negli Usa qualcuno ha già posto l'attenzione sulle donazioni dei Paperoni alle loro fondazioni

Melinda Gates: "Sono ricca, voglio pagare più tasse"

Secondo Forbes, nella classifica dei Paperoni mondiali con 96 miliardi di dollari Bill Gates è dietro solo al fondatore di Amazon Jeff Bezos: è molto più ricco di Mark Zuckerberg, Ceo e fondatore di Facebook e anche di Michael Bloomberg. Nel 1996 Bill Gates sposò la moglie Melinda e nel 2000 lanciarono insieme la Bill & Melinda Gates Foundation, che con con un asset di 50.7 miliardi di dollari è oggi considerata la fondazione più grande del mondo. È proprio Melinda Gates a raccontare in un'intervista a Repubblica il suo nuovo libro in uscita in Italia, Spiccare il volo, edito da Piemme. Il ritratto perfetto della Paperona ultra-milionaria progressista impegnatissima in cause benefiche.

Melinda, "filantropa", femminista", e ora anche scrittrice, ma soprattutto una dolle donne più ricche del pianeta, spiega che "chi fa fortuna in America spesso ha beneficiato di buone università, tecnologia, infrastrutture. Se di queste cose fruiscono solo i ricchi il Paese non cresce. Chi ha di più deve pagare più tasse per assicurare il futuro alle prossime generazioni". La moglie di Bill Gates rivendica le sue origini "umili": "Le nostre famiglie non erano ricche - afferma - hanno lottato per farci studiare e fin da piccoli ci hanno insegnato quali doveri avevamo verso la comunità. Quando ci siamo sposati, siamo partiti da questa base comune. Siamo arrivati fin qui non solo perché abbiamo lavorato duro, ma grazie a una buona dose di fortuna: ci siamo trovati nel posto giusto al momento giusto. Averne coscienza ci permette di non dare nulla per scontato".

Melinda Gates spiega inoltre che il nuovo libro "è solo il primo passo di una campagna appena lanciata su cui investiamo un miliardo di dollari: “Equality can’t wait”, l’uguaglianza non può attendere". Iniziativa che parte dagli Stati Uniti per essere allargata al resto del mondo. Si articola su tre punti, sottolinea: "Smantellare gli ostacoli al progresso professionale delle donne. Monitorare l’impatto femminile nel settore tecnologico, pubblico e dei media. Mobilitare consumatori e azionisti affinché facciano pressione sulle aziende meno aperte in tal senso. Il tutto, appoggiato a progetti di pianificazione familiare". Questo perché, secondo Melinda, migliorare la vita delle donne
significa migliorare quella della famiglia e di conseguenza, dell’intera comunità e dunque del mondo.

Sul sito web della Bill & Melinda Foundation, l'ossessione per l'uguaglianza dei due Paperoni si riflette in maniera ancora più esplicita nello slogan: "Tutte le vite hanno lo stesso valore. Siamo ottimisti impazienti che lavorano per ridurre le disuguaglianze". Nel rapporto sulla disuguaglianza della loro fondazione, Bill & Melinda dicono di essere nati in un paese ricco da "genitori bianchi" e benestanti che vivevano in comunità fiorenti e che erano in grado di mandarci in scuole eccellenti (altro che origini "umili", dunque). Questi fattori, tra molti altri, dicono, ci hanno messo in un'ottima posizione per raggiungere il successo. Ci sono miliardi di persone dall'altra parte di queste linee di demarcazione, tuttavia. Per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, le difficoltà sono quasi garantite. "Crediamo che sia sbagliato. Ogni persona dovrebbe avere pari opportunità di condurre una vita sana e produttiva. Negli ultimi 20 anni abbiamo investito in sanità e sviluppo nei paesi a basso reddito, perché la peggiore disuguaglianza che abbiamo mai visto è dove i bambini muoiono per cause facilmente prevenibili".

Per carità, tanto di cappello a chi investe denaro e risorse in progetti di questo tipo. Ma è il solito "senso di colpa" che spinge i Paperoni mondiali come Bill & Melinda a sposare un'ideologia progressista e cosmopolita: se anche i Gates pagassero più tasse come invocato da Melina, quasi fossero a disagio con la straripante ricchezza di cui possono beneficiare, forse ciò potrebbe rasserenare le loro coscienze e permettere allo stato di reperire qualche risorsa in più, ma questo non cambierebbe di una virgola il loro stile di vita. Come spiega il politologo Francis Fukuyama, quello che vogliono i miliardari come i Gates non è solo possedere case, barche e aerei fino a perderne il conto. Quello che vogliono è altro: possedere la più grande collezione di dipinti di Francis Bacon, o essere al comando dello yacht vincitore dell'America's Cup, o fondare - come Bill e Melinda - la più grande istituzione benefica al mondo. "Quello che i miliardari cercano - osserva Fukuyama nel suo ultimo libro Identità edito da Utet -non è un livello assoluto di ricchezza, quanto piuttosto una posizione di superiorità rispetto agli altri miliardari".

Lo spiegò anche Adam Smith nel suo testo La teoria dei sentimenti morali: "Essere osservato, ricevere attenzioni, esser considerato con simpatia, compiacimento e approvazione sono tutti i vantaggi che derivano" dalla ricchezza. "È la vanità che ci interessa, non il benessere o il piacere. Ma la vanità è sempre fondata sul credere di essere oggetto di attenzione e approvazione". Ma oltre all'aspetto morale e filosofico della vicenda, potrebbe anche esserci una patina di ipocrisia nelle parole di Melinda Gates sul fisco, come spiegato non più di tardi due un paio di anni fa dal noto economista Stephen Moore in un editoriale sul Wall Street Journal, che raccontava come i Paperoni come George Soros e Bill Gates spostassero buona parte del loro patrimonio personale su un ente no-profit per pagare meno tasse. Grazie a questo "escamotage" legale, sottolinea Moore, i Paperoni possono dedurre fino al 20% le donazioni dal loro reddito imponibile per cinque anni e mantenere il controllo del denaro all’interno della fondazione privata per anni o addirittura decenni prima che venga erogato.

"Poiché la fondazione può impiegare membri della famiglia con stipendi a sei cifre per amministrarla, anche per tutta la vita, il cordone ombelicale tra il donatore e l’ente no-profit non deve mai essere tagliato”.

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