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L'America decide se voltare pagina

Al voto per rinnovare un terzo del Senato, eleggere l'intera Camera e 36 governatori. I sondaggi vedono favoriti i repubblicani. La loro vittoria, però, potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio

L'America decide se voltare pagina

Il partito repubblicano è su di giri. Muore dalla voglia di rifilare uno schiaffone grosso a Obama e sente di avere a portata di mano l'obiettivo. Le elezioni di midterm sono l'occasione per conquistare il Congresso e condizionare pesantemente i prossimi due anni della politica americana, in vista delle prossime presidenziali,in programma nel 2016. Si vota per rinnovare un terzo dei senatori, l'intera Camera e 36 governatori. Un dato da tenere bene a mente: dal lontano 1862 le elezioni di medio termine hanno sempre penalizzato il partito del presidente in carica. Fa parte della storia, dunque, dare uno scossone alla Casa Bianca. Una sorta di "tagliando" politico che può servire al presidente per correggere la rotta, in extremis, o aprire la strada al cambiamento.

In calendario ci sono anche circa 150 referendum su misure che spaziano dal fracking (fratturazione idraulica per estrarre petrolio e gas) all'aumento delle paghe minime, dalle tasse sulle bibite gassate alla legalizzazione della marijuana. Negli Stati Uniti sono molto pratici e ogni qualvolta si va votare non si perde l'occasione per infilarci qualche referendum. Nessuno si scandalizza e si batte per evitare sovrapposizioni, come avvenuto in passato in Italia.

Vediamo subito i numeri e la posta in gioco. Alla Camera dei Rappresentanti i repubblicani attualmente hanno 233 seggi contro i 199 dei democratici. Se il partito dell'elefante si aggiudicasse altri 13 seggi, raggiungerebbe la maggioranza più ampia mai avuta dal 1928, con 8 in più tornerebbe invece alla stessa maggioranza che aveva nel 2010. Dato per scontato il controllo della Camera bassa, la vera partita si gioca al Senato: attualmente i democratici lo controllano con 55 seggi, contro i 45 dei repubblicani. In ballo stavolta ci sono 33 poltrone (più tre legate alle speciali elezioni che si terranno in Hawaii, South Carolina e Oklahoma). In tutto la partita si gioca su 36 seggi: 15 attualmente sono in mani repubblicane e 21 democratiche. In base alle ultime previsioni di New York Times, FiveThirtyEight, Huffington Post, Washington Post e Cook Political Reports, le urne dovrebbero assegnare ai repubblicani 52 seggi, lasciando il partito democratico in minoranza con 47 seggi (più uno indipendente).

A conti fatti il Grand Old Party per riconquistare il Senato deve mantenere tutti i seggi uscenti strappandone sei ai democratici. Le proiezioni evidenziano un possibile testa a testa in 10 stati: Louisiana, Alaska, Georgia, Kansas, Iowa, North Carolina, Colorado, New Hempshire, Kentucky e Arkansans.

La Casa Bianca ostenta sicurezza (o almeno ci prova). Il presidente Obama è d'accordo con il suo vice, Joe Biden, secondo il quale i democratici manterranno il controllo del Senato. Lo ha detto il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, aggiungendo che i democratici sono sostenuti da una strategia per ottenere voti già consolidata, che potrebbe rafforzare i loro candidati di due o tre punti percentuali: "Queste strategie sono radicate in tattiche che sono state attuate con successo dal team del presidente nel contesto della sua campagna di rielezione", ha spiegato Earnest. In realtà molto dipenderà dall'affluenza, collegio per collegio. La mobilitazione elettorale per le elezioni di midterm è storicamente molto diversa da quella per le presidenziali: sentono più il richiamo alle urne gli elettori più anziani, più ricchi e più "bianchi". Questo tendenzialmente dovrebbe favorire i reopubblicani, visto e considerato che lo staff di Obama in passato ha puntato molto sulle classi sociali più povere, le minoranze etniche, i giovani e le donne.

Un'interessante analisi di Davide Tramballi (ricercatore dell'Ispi) evidenzia che il successo dei repubblicani alle elezioni di midterm potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro, cioè una pericolosa arma a doppio taglio. Per quale ragione? La coabitazione tra presidente di un colore e Congresso di un altro non sarebbe certo una novità a Washington. La scontata necessità di un compromesso potrebbe finire col danneggiare soprattutto il Partito repubblicano, diviso - come non mai - tra l'ala barricadera dei Tea Party (come evidenziato dai default del 2011 e 2013) e quella moderata. Con Obama che mantiene il diritto di veto su molte delle proposte di legge in discussione e sui temi internazionali, i democratici potrebbero attribuire le colpe della paralisi di due anni al Gop, cercando di sfruttarne gli effetti. E tra due anni, con le nuove elezioni di midterm, gli americani si troverebbero a rinnovare un terzo del Senato, con 24 dei 34 seggi in discussione che saranno repubblicani. Insomma, bisogna capire quanto questa annunciata vittoria farà bene all'elefantino in vista delle presidenziali del 2016. Il partito repubblicano, infatti, non può non tenere conto del cambiamento demografico avvenuto negli ultimi anni: l'elettorato bianco nel 2012 era il 72%, nel 2016 sarà il 67%, e sono in forte crescita le minoranze (nera, asiatica e soprattutto ispanica). Per vincere bisogna costruire una piattaforma programmatica che, in qualche misura, vada incontro anche alle esigenze di questi elettori. E, particolare molto interessante evidenziato dal ricercatore dell'Ispi, ben il 69% della minoranza ispanica - pur essendo più affine ai conservatori - è favorevole all'assistenza sanitaria gratuiorta, mentre il 64% sarebbe disposto a vedersi aumentare le tasse pur di ottenere maggiori servizi. Insomma, uno "statalismo" che sembra molto distante dalle istanze dei Tea Party. Molto si giocherà, ovviamente, nella battaglia per la nuova leadership. Si parla molto di due "stelle" made in Florida, Marco Rubio e Jeb Bush.

Vedremo se spunterà qualche new entry e quale corrente prenderà il sopravvento.

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