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Thailandia, nel sud ribelle continuano le violenze

Dal 2004 ad oggi il conflitto nel sud del Paese ha causato la morte di oltre sei mila persone

Thailandia, nel sud ribelle continuano le violenze

Non si fermano le violenze dei separatisti musulmani Malay nel sud della Thailandia. Ieri mattina un poliziotto è rimasto ucciso nella provincia di Pattani dopo un attacco armato dei ribelli.

Un altro scontro a fuoco si è registrato a Cho Hai Rong, nella distretto di Narathiwat. Qui, dopo dieci minuti di spari, l’esercito thailandese è riuscito localizzare e sequestrare un campo militare dei separatisti immerso nella giungla, usato per fabbricare bombe artigianali. Sempre ieri una donna è stata uccisa nel distretto di Yala. La polizia locale ha detto che l’omicidio potrebbe essere collegato ai ribelli musulmani.

Questi episodi nella “terra del sorriso” conosciuta soprattutto per le spiagge magiche, la tranquillità tipica del Sud Est asiatico e la vita notturna di Bangkok, sono all’ordine del giorno nelle province del sud del Paese, dove vivono due milioni di persone. In queste zone poco conosciute al confine con la Malesia, infatti, l’etnia musulmana dei Malay - che ha una propria cultura, una propria tradizione e anche una propria lingua, lo Yawi - rivendica l’autonomia. Lo fa con armi ed attentati.

L’attività ostile di questi gruppi va avanti da decenni ma ha avuto un significativo incremento nel 2004 dopo quello che viene ricordato come il “Massacro di Tak Bai”, dove la repressione della polizia thailandese ha provocato la morte di più di settanta persone innocenti. Da quel giorno le violenze non si sono mai fermate e, fino ad oggi, hanno causato la morte di oltre sei mila persone.

Nell’agosto scorso Awang Jabal, leader di Mara Patani, una sigla nata nell’ottobre del 2014 che racchiude sei gruppi separatisti musulmani, aveva annunciato uno storico cessate il fuoco con il governo thailandese. Una dichiarazione di pace che però ha avuto vita molto breve. Perché, come avevamo già scritto su ilgiornale.

it, i gruppi ribelli presenti nell’area sono divisi in oltre venti organizzazioni, ognuna delle quali opera autonomamente.

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