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I caschi blu della cultura? Palmira non è più di tutti

Dov'erano i "caschi blu della cultura" mentre siriani, iraniani e russi indossavano l'elmetto militare per liberare l'antica città patrimonio dell'Unesco caduta nelle mani del Califfato?

I caschi blu della cultura? Palmira non è più di tutti

Francesco Rutelli e Dario Franceschini, rispettivamente ex ed attuale ministro dei Beni culturali in Italia, si sono entrambi detti pronti ad inviare a Palmira i cosiddetti “caschi blu della cultura”, una task force internazionale concordata qualche mese fa con il capo della Farnesina Paolo Gentiloni e volta a difendere ogni patrimonio artistico e culturale del mondo. Ma con che coraggio due figure del mondo occidentale si ergono a paladini della solidarietà verso un Paese che per cinque anni è stato lasciato da solo a combattere contro terrorismo? E’ vero, parliamo di una delle città più antiche della regione, un tempo dell’imperatrice Zenobia, luogo di transito delle carovane che attraversavano l’arido deserto lungo la Via della Seta, poi bizantina, poi araba, per infine diventare Patrimonio mondiale dell’Unesco. Ma dov’erano tutte quelle persone che hanno pianto l’occupazione di Daesh nello scorso maggio e che oggi sono rimaste in silenzio di fronte all’eroica riconquista da parte dell’esercito siriano supportato dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah e dall’aviazione russa?

Ora le cose sono cambiate. Palmira non è più di tutti, ma di chi se l’è ripresa pagando il prezzo della vita, come il soldato russo Alexander Prokhorenko fattosi bombardare dai raid per portarsi nella tomba qualche miliziani del Califfato, è dei caduti in battaglia, è di quei giovani soldati che alla fine dei combattimenti si sono scattati la fotografia della vittoria felici quanto sorpresi di essere ancora vivi. Palmira non è più di tutti, ma di chi in queste ore conduce le operazioni di sminamento e rischia di saltare in aria sopra le oltre 2mila mine lasciate sotto il catrame dai miliziani prima di abbandonare definitivamente la città. Palmira non è di tutti ma di chi fin dall’inizio ha avuto il coraggio di denunciare i veri colpevoli di un conflitto spietato che ha prodotto più 400mila vittime, oltre 4milioni di rifugiati e che ancora oggi, oltre alle macerie, non riesce a vedere un filo di luce. Palmira non è più di tutti, perché ad averla restituita all’umanità è stato un manipolo di uomini e donne che tra il silenzio mediatico e la demonizzazione non è mai arretrato di un centimetro e ha combattuto fino alla fine.

La presa di Palmira è un caso che fa scuola perché mai come in questi giorni la classe giornalistica è sprofondata nella spirale dell’ipocrisia e della mala-informazione. Nei giorni successivi alla riconquista della città antica i massmedia sono stati costretti a dare la notizia facendo in modo però di confezionarla affinché l’opinione pubblica non capisse le reali dinamiche. Grandi immagine del sito archeologico, qualche video dall’alto ma soprattutto album su album dove si paragona il prima con il dopo. Eppure quanti giornali e televisioni hanno chiamato con i loro nome i protagonisti di questa epopea? Pochi, non abbastanza per render giustizia ai liberatori, quelli che indossavano l’elmetto militare mica un “casco blu”.

E’ troppo facile chiacchierare in tempi di pace perché i veri uomini si vedono in guerra. Chiaro ministro Franceschini?

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