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Pescatori nordcoreani uccidono il loro comandante e 16 membri dell'equipaggio

I due marinai assassini, una volta entrati in territorio sudcoreano, non si sono visti riconoscere asilo politico da Seoul e sono stati quindi espulsi

Pescatori nordcoreani uccidono il loro comandante e 16 membri dell'equipaggio

Due marinai nordcoreani hanno di recente compiuto una vera e propriastrage sul loro peschereccio, uccidendo il comandante e 16 membri dell’equipaggio.

In base a quanto riferisce la Bbc, i due pescatori di calamari, di neanche trent’anni di età, avrebbero compiuto la mattanza a bordo della nave insieme a un terzo uomo, per prendere quindi il comando del battello. Il loro complice sarebbe stato però catturato quasi subito dalle autorità di Pyongyang nei pressi di un porto e così i due assassini, sempre alla guida del peschereccio, avrebbero deciso di oltrepassare la frontiera marittima tra la Corea del Nord e quella del Sud.

Una volta entrati nelle acque territoriali di Seoul, i marinai in fuga sarebbero stati intercettati dalla Marina sudcoreana dopo un impegnativo inseguimento. I pescatori di calamari hanno immediatamente confessato alle forze dell’ordine locali di avere, insieme al terzo complice, ucciso il comandante della nave su cui prestavano servizio e hanno giustificato il loro gesto presentandolo come una reazione all’eccessiva severità dell’alto ufficiale.

Oltre ad ammettere di avere perpetrato l’omicidio del comandante, i due marinai hanno rivelato alla polizia sudcoreana di avere anche assassinato “uno ad uno” 16 loro colleghi dell’equipaggio del peschereccio e di avere poi buttato i corpi in mare.

Il governo di Seul, riporta sempre la Bbc, non ha però voluto accordare lo status di rifugiati politici ai due soggetti in fuga dal Nord, poiché tali assassini avrebbero rappresentato una minaccia per la sicurezza nazionale. Di conseguenza, i pescatori sono stati espulsi dal territorio sudcoreano e, dopo essere stati trasportati dalla polizia fino alla località di frontiera di Panmunjom, riconsegnati alle autorità di Pyongyang.

Il ministro sudcoreano per la Riunificazione, Kim Yeon-chul, ha in seguito motivato, ai microfoni dell’emittente britannica, la decisione di riconsegnare al Paese comunista i due fuggitivi sottolineando che non era stato possibile “accertare la loro volontà di disubbidire alle autorità del Nord” e che quei due si erano quindi rivelati nient’altro che dei “pericolosi criminali”.

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