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Rio de Janeiro, bancarotta olimpica

A meno di sei mesi dalle Olimpiadi, lo stato di Rio de Janeiro non riesce più a pagare stipendi, pensioni e spese correnti. La colpa? Non solo dei Giochi

Rio de Janeiro, bancarotta olimpica

Se la Grecia ha dovuto attendere sei anni dalle Olimpiadi per arrivare alla bancarotta, in Brasile sono stati più rapidi. Lo stato di Rio di Janeiro non ha aspettato neanche sei mesi per raggiungere il dissesto finanziario.

Con un deficit di 19 miliardi di reais (circa 5,2 miliardi di euro) solo nel 2016 il governo statale non riesce più a pagare stipendi di dipendenti pubblici, pensioni e neanche a garantire i servizi minimi essenziali per la popolazione. Il sistema di salute è al collasso, con ospedali che rifiutano i pazienti per mancanza di medicinali, molto spesso condannandoli a morte. I programmi di assistenza sociale non hanno più fondi da distribuire. I trasporti pubblici hanno dovuto aumentare il costo del biglietto e comunque non riescono a garantire la circolazione di tutti i mezzi. I professori sono in sciopero da mesi, con i ragazzi che non vanno a scuola perché i palazzi sono occupati. La polizia militare inizia ad essere a corto di benzina per le vetture e addirittura di munizioni per le armi, con una conseguente esplosione della criminalità in tutto il territorio di uno stato grande quanto la Danimarca e da sempre tra i più violenti del Brasile. Da gennaio ad agosto il numero di omicidi è aumentato del 17,4% mentre quello dei furti e delle rapine del 41%. Persino le mense e i ristorati per i poveri a prezzi sussidiati sono stati costretti a chiudere. Ovviamente le manifestazioni di protesta sono esplose per le strade, con tanto di invasione dell’assemblea legislativa statale e violenze contro le forze dell’ordine. In sostanza, è il caos.

L’agenzia di rating Fitch ha declassato la nota di credito dello stato da “BB-“ a “insolvente”. E il governo federale, anch’esso in crisi, non ha i mezzi per soccorrere Rio. Con un deficit stimato a 170 miliardi di reais (circa 46,5 miliardi di euro) nel 2016, e un bilancio che non si prevede tornerà in pareggio almeno fino al 2020, Brasilia può fare ben poco per aiutare le unità della federazione con i conti dissestati. Che iniziano a loro volta a non pagare fornitori, a ritardare stipendi e pensioni e a non garantire più i livelli minimi di servizi pubblici (peraltro di qualità già scarsa in Brasile).

La situazione di Rio de Janeiro è tuttavia di gran lunga la più grave di tutte. E buona parte della colpa deriva dall’organizzazione delle Olimpiadi. Già un mese prima dell’inizio dei Giochi il governo carioca si era reso conto di aver speso troppo e aveva decretato lo “stato di calamità pubblica” a causa dei conti pubblici disastrosi, minacciando di non poter garantire la sicurezza e i trasporti di atleti e spettatori. Uno scenario da incubo, salvato in extremis con un prestito di emergenza di 2,9 miliardi di reais (circa 800 milioni di euro) dal governo federale a garanzia che il Brasile non facesse una figuraccia olimpica di dimensione planetaria. I soldi sono serviti per finire la linea 4 della metropolitana, che porta fino al quartiere dove si sono tenuti i Giochi, e pagare gli stipendi dei poliziotti durante il periodo della manifestazione sportiva. Concluse Olimpiadi e Paralimpiadi, Rio è ripiombato nel caos.

Stime non ancora definitive indicano che lo stato di Rio avrebbe speso da solo, tra Olimpiadi e Coppa del Mondo, oltre 39 miliardi di reais (circa 10,7 miliardi di euro). Ma potrebbero essere molti di più. Senza contare i fondi federali, quelli della FIFA e del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) piovuti sulle casse statali per organizzare gli eventi. Una marea di soldi evidentemente utilizzati malissimo. Due esempi su tutti: la metropolitana e il Maracanã . La linea 4 della metro, 16 km di lunghezza con appena 5 stazioni, è costata alle casse dello stato 9,7 miliardi di reais (circa 2,6 miliardi di euro), quasi il doppio di quanto preventivato. Un costo di 166 milioni di euro al km, due volte e mezzo quello della metro di Milano e circa lo stesso valore del km della Metro C di Roma. E a Rio non hanno neanche la scusa delle catacombe da schivare. Ed infatti la magistratura brasiliana sta indagando per un giro miliardario di mazzette legate a quest’opera.

La ristrutturazione dello stadio del Maracanã, invece, ha superato quota 1,2 miliardi di reais (oltre 328 milioni di euro), più di cinque volte il valore speso nella sua costruzione per la Coppa del Mondo del 1950. Oggi, gestito in concessione dal gigante dell’edilizia Odebrecht (una delle aziende più implicate negli scandali di corruzione in Brasile e il cui presidente è da oltre un anno in galera all’interno dell’Operazione Lava Jato), il Maracanã è solo un pallido ricordo dell’ingorda festa che si è svolta a Rio de Janeiro nell’ultimo decennio. Un party finanziato con soldi pubblici. Il Carnevale della corruzione.

Non è un caso che l’operazione Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana, ha compiuto buona parte degli arresti a Rio de Janeiro, dato che la statale petrolifera Petrobras ha lì il suo quartier generale e dato che i governanti dello stato carioca sono sempre stati famosi per la loro ingordigia. E la polizia federale continua a realizzare arresti quasi ogni giorno. Come ad esempio l’ex-governatore dello stato, Anthony Garotinho, ammanettato proprio ieri per corruzione e compravendita di voti.

L’attuale governatore, Luiz Fernando Pezão, si è difeso indicando che le cause del crack finanziario sono legate al crollo del prezzo del petrolio, e di conseguenza anche delle roylaties dovute all’erario statale. Effettivamente, l’estrazione petrolifera è una delle principali attività economiche dello stato, grazie ai pozzi off-shore del pré-sal scoperti al largo delle sue coste.
Ma le ragioni vere sono ben altre. La prima è legata alle spese pazze delle Olimpiadi. La seconda alla gestione economica completamente dissennata portata avanti dai governi del Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), lo stesso dell’attuale presidente Michel Temer, e del Partito dei Lavoratori (PT), di cui fanno parte gli ex presidenti Lula e Dilma Rousseff, che hanno governato lo stato ininterrottamente per quasi vent’anni.

Nella migliore tradizione del populismo di sinistra, sono state utilizzate entrate una tantum, come quelle derivanti appunto dalle royalties petrolifere, per realizzare spese permanenti, come l’assunzione di decine di migliaia di dipendenti pubblici. Che oggi non si riesce a pagare.

La Costituzione brasiliana prevede che in questi casi il governo federale debba intervenire esautorando le autorità locali e prendendo direttamente il controllo della macchina pubblica statale. Ma per salvare la sua poltrona il governatore Pezão ha annunciato in extremis un piano di austerità draconiana, con tagli agli stipendi, aumento del 30% della tassazione sulle pensioni, pagamenti rateizzati, aumento di tariffe e cancellazione di diversi servizi pubblici. E potrebbe non bastare, visto che pure con questi tagli, il deficit previsto fino al 2018 sarà di 52 miliardi di reais (14,25 miliardi di euro). La resa dei conti, quindi, è solo rimandata. Mentre le violenze di piazza seguite a quest’annuncio non hanno fatto altro che aumentare.
Il vice governatore Francisco Dornelles, famoso per non andare troppo per il sottile, ha dichiarato apertamente che “se Rio fosse un’azienda, avrebbe già portato i libri in tribunale”.

Nel frattempo, milioni di cariocas soffrono con condizioni di vita sempre più inumane, in uno stato che conta oltre 17 milioni di abitanti, buona parte dei quali vive in favelas o in condizione di forte povertà.

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