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Con Mosul assediata, i jihadisti prenderanno la via dei Balcani

L’assedio di Mosul rischia di catapultare in Europa i “jihadisti di ritorno”

Con Mosul assediata, i jihadisti prenderanno la via dei Balcani

L’assedio di Mosul rischia di catapultare in Europa centinaia di cosiddetti “jihadisti di ritorno”, questo è un rischio evidente e già puntualizzato da diversi analisti.

Come riportato da Gian Micalessin, stime dei servizi europei rendono noto che intorno alla capitale irachena del Califfato operano attualmente almeno 2500 jihadisti con legami europei.

Nel momento in cui i foreign fighters dovessero decidere di rientrare nei propri paesi d’origine o di infiltrarsi nel cuore dell’Europa per compiere attentati, quale rotta potrebbero seguire e con quanta facilità di penetrazione? Al momento la rotta balcanica sembra essere la più idonea e per diversi motivi:

È geograficamente più vicina alla “zona calda” rispetto a quella libica dove è tra l’altro in corso un conflitto dove i jihadisti dell’Isis sono in difficoltà. Tutto ciò rende difficile il potenziale transito di uomini in fuga da Siria e Iraq.

L’area balcanica ha fornito al Califfato un cospicuo numero di jihadisti, prevalentemente da Albania, Kosovo, Bosnia e Macedonia; le katiba balcaniche hanno svolto ruoli di primo piano e potrebbero avere tutto l’interesse a rientrare in patria per trasferire il conflitto alle porte dell’Europa.

Pochi giorni fa fonti albanesi rendevano noto che da Albania e Kosovo non venivano quasi più registrate partenze per lo “Stato Islamico”; ciò significa che la propaganda dell’Isis non fa più breccia in quel contesto? Oppure implica un cambio di strategia da parte del Califfato che magari adesso punta a stabilire una network in loco?

Un altro grande punto interrogativo riguarda la permeabilità dei confini. Con che facilità eventuali jihadisti di ritorno potrebbero riuscire a raggiungere i Balcani, sia via mare che tramite Grecia, Bulgaria e successivamente l’Europa occidentale?

Le segnalazioni sulla permeabilità dei confini sono frequenti e del resto ci sono alcuni casi recenti che non possono non destare perplessità. I controlli pressochè inesistenti al confine tra Croazia e Bosnia nord-occidentale erano già stati messi in evidenza dall’inviato di guerra, Fausto Biloslavo, a poche centinaia di metri dall’abitazione del più noto predicatore radicale dei Balcani, Bilal Bosnic.

I casi del presunto traffico di armi portato alla luce da Luigi Pelazza, con rotta che attraverserebbe in maniera indisturbata Croazia e Slovenia con destinazione Olanda e quello di Vlatko Vucelic dal Montenegro, che ha trasportato un carico di armi sempre attraverso i medesimi paesi poco prima degli attentati di Parigi per poi venire fermato in Germania, non possono far altro che aumentare le preoccupazioni di chi si occupa di sicurezza.

Vi è poi l’incognita macedone: con l’incremento della pressione migratoria, quante sono le effettive infiltrazioni di clandestini provenienti dalla Grecia e dalla Bulgaria?

È possibile che i jihadisti utilizzino proprio questi passaggi, mescolandosi tra profughi? Nel frattempo fonti serbe e statunitensi lanciavano l’allarme sul possibile ruolo negli attentati di Parigi del novembre 2015 di una cellula bosniaca capeggiata da Ezher Beganovic, le cui dinamiche sono ancora da chiarire.

Tutti elementi da valutare con estrema attenzione.

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