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Torrisi non lascia la presidenza della commissione e Alfano lo caccia da Ap

Salvatore Torrisi, eletto ieri alla presidenza della Commissione affari costituzionale del Senato, nonostante la richiesta pressante del suo partito non si dimette. Alfano: "Non rappresenta più Ap"

Torrisi non lascia la presidenza della commissione e Alfano lo caccia da Ap

Scoppia una nuova grana in seno al partito di Alfano, e di conseguenza all'interno della maggioranza. "Facciamo funzionare le istituzioni quindi la commissione - dice Salvatore Torrisi (Alleanza popolare), neoeletto presidente della commissione Affari costituzionali del Senato -. Terremo sempre conto degli interessi del parlamento e del Paese. Non c'è un problema personale: il problema è assicurare il funzionamento delle istituzioni. Sino a quando svolgo questo ruolo lo faccio nell'interesse del funzionamento della commissione". Ai giornalisti che gli chiedono se intenda dimettersi, come richiesto da Alfano, Torrisi risponde picche: "Da Alfano una richiesta inadeguata", manco "nel Pci sovietico". E insiste: "Fermo restando che sto riflettendo, se arriva dal Pd una proposta che fosse condivisa, io mi dimetterei. Trovo inconcepibile sul piano istituzionale interrompere i lavori della Commissione".

Durissima la replica di Alfano: "Prendo atto della scelta del senatore Torrisi. Amen. Ha scelto la sua strada. La nostra è diversa: il senatore Torrisi non rappresenta Ap al vertice della commissione Affari Costituzionali".

Prima seduta per Torrisi in commissione

"Clima tranquillo, normale". Viene descritta così la seduta della commissione Affari costituzionale del Senato che oggi Torrisi ha presieduto per la prima volta. Ieri la sua

html" data-ga4-click-event-target="internal">elezione a sorpresa a scapito del candidato Pd Giorgio Pagliari aveva innescato violente polemiche nella maggioranza, con tanto di richiesta, ribadita oggi dal leader centrista Alfano, di rinuncia all'incarico in nome del principio pacta sunt servanda con il principale alleato, al quale la presidenza spettava dopo la "promozione" di Anna Finocchiaro a ministro.

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