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Lo scenario post-elezioni: sei le opzioni sul tavolo

I liberaldemocratici potrebbero essere ancora decisivi, anche se con numeri risicati

Lo scenario post-elezioni: sei le opzioni sul tavolo

«Si elegge un Parlamento, non un governo» spiega Robert Hazell, direttore dell'unità affari costituzionali dello University College di Londra. Eppure gli inglesi faticano in queste ore a comprendere che con il loro voto, se le previsioni della vigilia saranno confermate (un sostanziale pareggio tra Tory e Laburisti) all'indomani delle elezioni generali non avranno ancora nessuna certezza su chi li governerà. Secondo molti costituzionalisti, tra cui gli esperti dell'Institute for Government, la prima questione da chiarire è che non necessariamente il leader del partito con il maggior numero di voti diventerà primo ministro. A entrare a Downing Street potrebbe essere infatti il capo del partito - che sia Ed Miliband o David Cameron - che riesce a raccogliere il più alto numero di consensi tra i partiti minori. Eppure anche il Cabinet Manual, scritto dopo il caos elettorale del 2010 per chiarire alcuni di questi nodi, secondo gran parte degli esperti è vago quando non addirittura incompleto sulle questioni scottanti. Cosa potrebbe accadere dunque l'8 maggio, dopo la grande chiamata alle urne? Se nessun partito strapperà la maggioranza assoluta, la metà più uno dei seggi, cioè 326, le opzioni sul tavolo sono sei.

Laburisti con appoggio esterno

Ed Miliband potrebbe strappare un'intesa con l'Snp, il partito nazionalista scozzese di Nicola Sturgeon e/o con i Liberaldemocratici. L'accordo prevederebbe la garanzia di un «sì» nel voto di fiducia al governo e sulla Finanziaria. Sul resto, mani libere. Garantirebbe la tenuta dell'esecutivo ma lo lascerebbe in balìa degli umori dei partiti minori su tutte le altre questioni.

Coalizione laburista

Come nel 2010, nella coalizione di governo uscente tra Cameron e Clegg (Tory-LibDem), il leader del Labour siglerebbe un accordo formale con i liberaldemocratici e con i nazionalisti scozzesi (ci vorrebbero entrambi, stando ai sondaggi) e dovrebbe garantire ai suoi alleati posti ministeriali e un programma congiunto. Un buon modo per presentare un piano con una visione lunga cinque anni, ma il rischio è di alinearsi i propri sostenitori, che potrebbero non digerire l'annacquamento delle promesse elettorali.

Governo laburista di minoranza

Sarebbe appeso, di volta in volta, al consenso dei partiti minori. Costringerebbe Miliband a vivere di giorno in giorno sul filo del rasoio e il governo a rischiare la sua stessa esistenza. Unico vantaggio: non ci si dovrebbe mettere d'accordo con nessuno sul programma di governo.

Governo Tory di minoranza

Per farlo sopravvivere Cameron avrebbe bisogno non solo dei LibDem ma anche degli unionisti nord-irlandesi del Dup e di eventuali deputati Ukip. I Tory potrebbe finire sotto coi numeri in qualsiasi votazione su singole questioni.

Tory con appoggio esterno

Servirebbe l'aiuto di liberaldemocratici, Dup e Ukip, ai quali Cameron dovrebbe pagare un debito (Clegg chiederebbe certamente più soldi per l'istruzione). Ma il rischio di essere affossati dal blocco formato da nazionalisti scozzesi e laburisti su molte riforme sarebbe alto. Eppure i mercati non disdegnerebbero questa soluzione.

Coalizione a guida Tory

Per formarla Cameron dovrebbe prima avere i numeri (cioè la maggioranza assoluta anche con i voti di LibDem, Ukip e Dup e non è detto che ci riesca). Poi dovrebbe siglare un nuovo accordo con i Liberaldemocratici e gli altri eventuali alleati e garantire posti al governo, come avvenuto cinque anni fa, quando Clegg divenne vice-premier. Avrebbe di fronte altri cinque anni di governo, ma sarebbe sempre nel mirino dell'ala destra dei Conservatori che non ha mai amato l'accordo con i LibDem. Nick Clegg avverte e minaccia: c'è il rischio che si torni a votare prima di Natale.

Twitter: @gaiacesare

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