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Se Mosca ride, Washington non piange

C’ erano due convitati di pietra al referendum sulla Brexit: gli Stati Uniti da un lato, la Russia dall’altro

Se Mosca ride, Washington non piange

C’ erano due convitati di pietra al referendum sulla Brexit: gli Stati Uniti da un lato, la Russia dall’altro. Nonostante la pubblica esortazione di Obama agli inglesi a rimanere nell’Unione, a Washington la notizia non ha suscitato reazioni completamente negative. Il candidato repubblicano Trump, in visita privata in Scozia, si è per esempio affrettato a congratularsi con il popolo britannico; e c’è chi spera, magari senza dirlo troppo forte, che lo sganciamento di Londra da Bruxelles determini quasi automaticamente un rilancio di quella «relazione speciale» tra Stati Uniti e Gran Bretagna, consolidatasi attraverso due guerre mondiali e operative in molte vicende, soprattutto militari, degli ultimi settant’anni, ma che si stava gradualmente affievolendo. Si tratta di un rapporto basato non solo sulla lingua comune, non solo sulla comune fede nel libero mercato, non solo su una sistema legale molto simile, ma anche su rapporti e interscambi culturali strettissimi e in rapporti personali speciali tra i leader, come quello di Reagan con la Thatcher e di Blair con Bush che hanno pochi eguali nel mondo. Ma accanto a questi ottimisti, c’è anche chi è convinto che la Gran Bretagna fosse più utile ai rapporti transatlantici esercitando la sua influenza all’interno dell’Unione Europea, contribuendo a pilotare la sua politica estera e fornendola di una capacità di difesa che ora rimane quasi esclusivamente sulle spalle della Francia. Senza il Regno Unito, una UE a guida sempre più tedesca è – per gli analisti americani - fatalmente destinata a «scivolare» verso Oriente. Questa è la ragione principale per cui l’altro convitato di pietra, Vladimir Putin, pur non essendosi mai pronunciato sul problema («Non è cosa che ci riguardi»), non può che essere soddisfatto del risultato, anche se – almeno nella prima fase – dovesse infliggere qualche danno economico e finanziario al suo Paese, che ha in Gran Bretagna grossi interessi. Non solo l’uscita di Londra rende l’Unione più fragile, accentuando le tendenze centrifughe che già si avvertono in molti Paesi e costringendolo a guardare in primo luogo ai suoi problemi interni, ma indebolisce anche il fronte di coloro che vogliono mantenere le sanzioni economiche alla Russia fino a quando non accetterà di uscire dall’Ucraina, lasciando al Cremlino maggiore spazio di manovra sul piano diplomatico. Lo Zar non si illude certamente che le cose cambino da un giorno all’altro, ma il fatto che la Brexit abbia rafforzato i leader euroscettici che, in grande maggioranza, gli sono vicini non può che confortarlo. Sia Farage, sia la Le Pen, sia Wilders, sia lo stesso Salvini guardano oggi a Mosca con maggiore simpatia di tutti gli altri politici, e non esitano a gridarlo forte. Non per nulla, vari esponenti del «Remain» hanno esortato gli inglesi a votare no al referendum proprio per non fare un piacere a Putin. È presto per dire se e come lo Zar cercherà di approfittare, con mosse concrete, dell’indebolimento dell’Unione e della grande confusione nata al suo interno.

Ma, conoscendolo, se vedrà l’occasione per entrare nella partita non se la lascerà di certo scappare.

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