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In Siria la tregua è appesa ad un filo sottilissimo

Tutte le potenze in campo approfittano di questa fase di stallo relativo per muovere le proprie pedine e accusare l’altro di voler sabotare la fine provvisoria delle ostilità. La Turchia non avendo gli scarponi nel Paese sposta carri armati, armi e munizioni al confine, per farsi trovare pronta una volta terminato il cessate-il-fuoco

In Siria la tregua è appesa ad un filo sottilissimo

Il cessate-il-fuoco in vigore in Siria, che esclude Daesh e Jabhat al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda, è appeso ad un filo sottilissimo. Tutte le potenze in campo approfittano di questa fase di stallo relativo per muovere le proprie pedine e accusare l’altro di voler sabotare la tregua. Il governo di Damasco ha puntato il dito contro l’Arabia Saudita di provare a far deragliare il terzo giorno di “pace” dopo che il suo ministro degli Esteri, Adel al Yubeir, ha minacciato nuovamente un intervento militare in caso di fallimento del cessate-il-fuoco. La Turchia che sostiene parte delle opposizioni in esilio, ha invece accusato la Russia di averla violata bombardando aree protette tra Hama e Idlib e tra Hama e Homs. Mosca, che sostiene assieme all’Iran il presidente Assad, ha invece accusato Ankara di violare la provvisoria fine delle ostilità per radicalizzare la lotta contro i curdi. Tra tutte, l’accusa è stata documentata da una troupe della televisione russa che è riuscita filmare militari turchi in movimento con armi e munizioni verso le loro basi al confine siriano.

Secondo il vice-ministro russo Sergei Riyabkov, il cui governo sta compiendo dal 29 settembre 2015 una campagna aerea per rafforzare la fascia territoriale che va da Dera e a Tartous, l’utilizzo della forza da parte di attori estranei alla situazione in Siria, in particolare la Turchia, potrebbe minare la soluzione politica nel Paese. "Non possiamo non essere preoccupati per i preparativi militari e l’intensificarsi delle attività lungo il confine. Se i governi dei Paesi che sono impegnati in queste attività, hanno in programma di usare la forza per raggiungere alcuni obiettivi, questo sarebbe un colpo mortale per tutto ciò che è stato realizzato fino ad oggi”, ha detto sottolineando che questi Paesi, compreso il governo di Ankara, devono essere “pienamente consapevoli delle loro responsabilità". Ma la verità è che la tregua, accettata dal governo di Damasco e da 97 gruppi ribelli, protegge solo un terzo del Paese. Il sangue continua a scorrere ovunque perché la situazione è sfuggita di mano a tutti. Per quanto vengano presentati dai media occidentali come un blocco monolitico, le forze anti-governative sono molteplici e spesso in conflitto fra loro. Non è un caso che i loro rappresentanti scelti per partecipare ai colloqui di pace internazionale siano stati nominati da persone che vivono all’estero ma che usano manovalanza siriana per perseguire i loro interessi geopolitici.

Intanto sul fronte diplomatico si aspetta ora di vedere se la tenuta formale del cessate-il-fuoco induca le parti a tentare di avviare i tanto attesi tavoli di pace mediati dalle Nazioni Unite e convocati dall’inviato speciale Staffan De Mistura per il 7 marzo prossimo a Ginevra. Tavoli che per ora escludono ancora i curdi del Rojava. Intervistato dall’agenzia di stampa russa “Tass”, Selahattin Soro, rappresentante del Congresso nazionale del Kurdistan in Russia, ha sottolineato che la minoranza ha sollevato più volte in questi mesi la questione della loro presenza si negoziati: "Abbiamo consegnato alla Russia una lista di possibili partecipanti al round di colloqui previsti per il 7 marzo comprendente 15 rappresentanti del Kurdistan siriano la cui volontà è quella di favorire una soluzione pacifica alla crisi".

Il loro è peccato è quello di considerare il presidente turco Erdogan come un nemico, di aver combattuto in Siria al fianco di Assad, e infine di aver aperto una sede diplomatica a Mosca.

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