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Il sultano Erdogan che vuole ricreare l'Impero ottomano

Nel 1994 sindaco di Istanbul, nel 2002 premier e ora presidente: quella di Erdogan è stata la fulminea scalata al potere di un uomo forte, che ha portato la Turchia nel nuovo millennio

Il sultano Erdogan che vuole ricreare l'Impero ottomano

Sessant'anni, da più di dodici al potere come primo ministro, ed ora come nuovo presidente della Turchia. Origini popolari, un passato prima da venditore ambulante e poi da calciatore. Questo l'identikit di Recep Taiyyp Erdogan, l'uomo che tutti, dentro e fuori l'Anatolia, salutano come il sultano che mira a riportare la penisola che unisce Asia ed Europa ai fasti dell'Impero ottomano.

Lontanissimo dai modelli dell'elite europea ed intellettuale, da cui lui stesso tiene a differenziarsi non appena gliene si presenta l'occasione, Erdogan si presenta come un presidente interventista ed energico, che è riuscito ad imporre la figura dell'uomo forte, monopolizzando di fatto la stanza dei bottoni per un ventennio. Dodici anni da premier, più sette, almeno, da primo ministro.

Già nel 1994 sindaco di Istanbul, Erdogan non perse tempo a chiarire quale fosse il proprio stile: "La democrazia è come un tram, quando si è arrivati dove si vuole si scende." Sette anni dopo fonda il partito islamico Akp, sfidando una lunga tradizione di laicità inaugurata dallo stesso fondatore della Repubblica Turca, Mustafa Kemal, che tutti in Anatolia chiamano semplicemente Ataturk, il padre dei turchi.

La scommessa è vinta immediatamente, e con largo margine, alle elezioni generali del 2002 e poi replicata sia nel 2007 che nel 2011. In questi anni ha puntato tutto su un deciso rilancio dell'immagine internazionale della Turchia, allineata all'inizio degli anni Duemila alle posizioni dell'Unione Europea (in cui Erdogan si spese molto per fare entrare il proprio Paese), e successivamente schierata abilmente ora al fianco degli Stati Uniti ora della Russia di Vladimir Putin.

Finito spesso sotto accusa per aver rimosso esponenti dell'esercito e della magistratura non in linea con la sua politica, Erdogan si è imposto come uomo forte anche in occasione delle proteste di piazza Taksim, che nel 2013 e nel 2014 hanno visto protagonisti i giovani filoccidentali di Istanbul, scesi in piazza a manifestare contro la svolta filoislamica voluta dal premier.

Proprio quello della religione è uno dei temi caldi che più di ogni altro hanno caratterizzato il percorso politico di Erdogan: interrompendo una tradizione nata con lo stesso Stato turco moderno, il futuro presidente ha varato diverse misure, nel corso degli anni, intese a liberalizzare le manifestazioni pubbliche della religione e a introdurre alcuni moderati elementi della tradizione islamica nella legislazione statale. Alle donne impiegate nell'amministrazione statale è stato permesso di indossare il velo sul posto di lavoro, e ai nuovi esercizi commerciali è stato vietato di servire alcolici all'aperto. La stessa moglie di Erdogan si è sempre mostrata in pubblico completamente velata e l'immagine della donna in Turchia è uno dei temi che più di ogni altro è stato interessato da questa rivoluzione culturale.

Nonostante le resistente della parte del Paese più legata all'Europa e alla tradizione laica, la campagna filoislamica di Erdogan sembra aver riscosso molto successo tra la popolazione, specie nelle campagne. Dove questo non è accaduto, la repressione è stata brutale. Nella primavera di quest'anno, appena pochi mesi dopo aver represso nel sangue le proteste di piazza, Erdogan ha decretato la censura prima di Twitter e poi di Youtube, dove erano stati diffusi contenuti di forte critica al suo operato.

Ora che la presidenza è una realtà, Erdogan si appresta a rafforzare ancora di più il proprio potere.

Ed ha già annunciato di voler modificare la costituzione per cambiare le prerogative del presidente: da ruolo prevalentemente cerimoniale, diventerà il cuore pulsante del potere esecutivo.

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