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La tregua è subito fallita. Hamas sceglie la guerra

Inutile il sì di Israele alla proposta di compromesso egiziana: gli integralisti islamici non interrompono il lancio di missili

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Ennesimo fallimento del solito sogno di pace che ieri era balenato alle nove di mattina. Perchè già alle nove e cinque, ora di inizio della tregua proposta dall'Egitto, Hamas sventagliava Israele di missili mentre i suoi portavoce dichiaravano che la proposta di pace egiziana «non vale la carta su cui è scritta» e che «forse si tratta di una barzelletta». Dalle nove, dopo che Israele aveva accettato la tregua, ci sono voluti settanta missili perchè l'esercito rispondesse. La decisione di Netanyahu era stata presa durante un tempestosa riunione di gabinetto la mattina presto, proprio per essere pronto alle nove a dire «sì» al presidente Abdel Fattah al Sisi, un mediatore di pace ideale tradizionale, oggi nemico giurato di Hamas, membro della Fratellanza Musulmana di cui faceva parte Mohamed Morsi deposto da Sisi. Netanyahu è stato coperto di critiche soprattutto da parte del suo ministro degli esteri Avigdor Lieberman, che chiede di «andare fino in fondo contro Hamas» e non ha esitato, fatto senza precedenti in tempo di guerra, a attaccare il suo stesso governo con una conferenza stampa. Non è un caso che il viceministro della Difesa, l'oltranzista Dani Danon, sia stato spinto ieri fuori dal governo.
La proposta egiziana si era materializzata durante la serata di lunedì. Nel mondo arabo valgono dinamiche legate all'onore e al rispetto: l'Egitto è quel venerando Paese le cui proposte non si possono rifiutare, nell'era di Sisi emana paura, onore, e anche bisogno di ristabilire, dopo tanti scontri interni e una gran miseria persistente, un'aura di riconoscibilità internazionale per nuovi aiuti economici. L'Arabia Saudita, la Giordania, tutta l'ala moderata ha accolto con favore la sua proposta. Anche il delegato di Hamas al Cairo, Mussa Abu Marzuk, non si è tirato indietro, mentre sui teleschermi di Gaza andava in onda un intervento in parte isterico (incitazione e lodi degli shahid) e in parte disperato di Ismail Haniyeh, il capo dell'ala politica. Ma Haniyeh è solo uno degli attori; il primo è il capo militare Muhammed Deif, e poi Khaled Mashaal capo dell'ufficio politico all'estero, in Kuwait.

Durante la notte e fino alla mattina in cui la tregua è stata rifiutata da Hamas, i tre hanno avuto modo di scontrarsi finchè Deif ha vinto. Hamas si lamenta che di fatto l'accordo ripercorra quello del 2012, in cui si aprirono i passaggi e arrivarono gli aiuti economici ma restò disarmato, tanto che per un anno Israele è stato tranquillo. Adesso poi che ieri sera purtroppo ha fatto il primo morto israeliano, un volontario civile che portava cibo ai soldati vicino al valico di confine di Erez, le sue pretese si moltiplicano. Difficile che si realizzi la richiesta di Sisi che le due parti arrivino al Cairo, entro 48 ore e discutano tramite i suoi uomini.

Finora Hamas ha voluto mostrare anche a Sisi il viso delle armi, forse anche per compiacere due suoi amici che vogliono fungere da mallevadori: la Turchia e il Qatar, anche loro parte dei Fratelli Musulmani. Ma Erdogan solo ieri ha detto che «Israele è come Hitler», e il Qatar è un rubinetto d'oro di dollari grazie a cui Hamas si è rifornito di diecimila missili. Sisi resta il mediatore più plausibile, e sa che sarà lui a prendere di nuovo il giuoco in mano.
Infatti, per quanto Hamas faccia lo sbruffone, la sua condizione è catalettica. In questa fase «di deterrenza» l'esercito israeliano ha già distrutto un terzo dei missili, metà delle fabbriche di razzi, buona parte degli edifici in cui aveva sede il comando delle brigate e dei battaglioni militari. E questo, nonostante centinaia di missioni non siano state autorizzate per la preoccupazione di colpire i civili in questa tipica guerra asimmetrica, con uso massiccio di scudi umani. Hamas sa benissimo che dopo la fase di deterrenza, adesso Israele sta discutendo se passare alla fase in cui cerca una vittoria militare. Netanyahu non parla di invasione di terra, ma di far tacere le armi e di inferire a Hamas un danno decisivo: «Se non c'è cessate il fuoco la nostra risposta è: fuoco!», ha detto.

Per farlo, l'esercito deve rimuovere le risorse militari stipate nelle gallerie sotterranee, e questo comporterebbe l'ingresso di terra. La gente di Gaza comincia a chiedersi perchè i capi rifiutino la pace mentre la fame, i feriti, le distruzioni rendono la loro vita così amara. L'idea di Israele e di Sisi sarebbe, sembra, conferire a Abu Mazen molto potere, così che si arricchisca un asse moderato (Egitto, Curdi, Sauditi, Emirati, Giordania e altri, senza un rifiuto preconcetto per Israele) che dovrebbe contrastare l'incendio jihadista e iraniano. Netanyahu adesso ha acquistato, come gli ha detto Kerry, «il pieno diritto di espandere l'azione militare».

Non vorrebbe farlo, ma il volontario ucciso ieri o altri episodi sanguinosi che Hamas cerca può cambiare la sorte della guerra.

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