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In Turchia anche per le soldatesse cade il "divieto di velo"

L'esercito era rimasto l'ultima istituzione a obbligare le donne a non portare il velo

In Turchia anche per le soldatesse cade il "divieto di velo"

Si conclude con una decisione annunciata questa mattina dal ministero della Difesa un processo iniziato in Turchia molti anni fa, con il quale il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) del presidente Erdogan ha sdoganato nuovamente l'utilizzo del velo anche in pubblico.

Da oggi anche le soldatesse, siano esse ufficiali, sottoufficiali o cadetti dell'accademia militare, potranno servire il proprio Paese senza dover per questo togliere quel velo che ne mostra chiaramente l'identità religiosa. A patto che sia portato sotto il berretto, sia dello stesso colore delle uniformi e non presenti disegni di alcun tipo.

Una novità, quella che riguarda l'istituzione da sempre considerata bastione del secolarismo in Turchia, ma la cui composizione è molto cambiata negli ultimi anni, che arriva nell'ambito di un processo più ampio, durato a lungo.

Il divieto era già caduto per le donne della polizia, e ancor prima per i campus universitari e per una serie di altre istituzioni pubbliche, ma pure - provocando non poche polemiche - per le alunne sopra i 10 anni, tra grandi dibattiti con chi riteneva che si stesse violando quel carattere di secolarismo sancito dalla Costituzione come inalterabile.

Il velo "sbarca" in politica

Se nel 1999 aveva fatto scalpore il caso di Merve Kavakçı, deputata a cui lo stesso primo ministro dell'epoca aveva impedito di giurare con il velo in testa, oggi a portarlo sono molte delle donne dell'Akp, ma anche Hüda Kaya, parlamentare dell'opposizione filo-curda.

Retaggio dei primi anni della Repubblica, il "divieto di velo" fu implementato chiaramente per la prima volta dopo il colpo di Stato degli anni Ottanta. Le riforme volute da Mustafa Kemal Atatürk avevano sì proibito l'uso di alcuni capi d'abbigliamento, come il tradizionale fez per gli uomini, ma avevano di fatto lasciato alle donne la libertà di scegliere se abbandonare o no il velo, spingendo tuttavia per la seconda opzione, come segno di distacco dal passato ottomano.

Nei decenni successivi la questione è rimasta attuale, cambiando però significato e diventando terreno di scontro politico con l'emergere in politica di un'ala destra islamica conservatrice. L'opposizione laica ha spesso denunciato l'atteggiamento più rilassato nei confronti del velo come un tradimento dei principi della Repubblica turca e un tentativo di "islamizzare il Paese", ma dall'altra parte l'Akp e l'elettorato più religioso hanno sempre sostenuto di essere stati trattati a lungo come cittadini di secondo grado.

Velo e sport

Un post condiviso da KÜBRA DAĞLI (@kubra.dagli) in data:

Segno di come i tempi siano cambiati, ma il tema sia tuttora controverso, è l'attenzione dedicata solo pochi mesi fa dai media a Kübra Dağlı, campionessa turca del team di Taekwondo, di ritorno dai mondiali di Lima con cinque ori, quattro argenti e sette bronzi.

"Non parlano del mio successo, ma del mio velo - aveva accusato sui social media la campionessa -. Si dovrebbe parlare del nostro successo. Ci siamo impegnati tanto e abbiamo reso il nostro Paese e il nostro team campioni del mondo".

In quell'occasione le critiche, raccontava su Al Monitor Riada Asimovic Akyol, arrivarono più da alcuni tra i circoli più conservatori, che non la trovavano abbastanza "modesta", piuttosto che dalla parte laica del Paese.

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