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La visita del Papa in Corea scuote l'Asia «rossa»

La prima notizia del viaggio pastorale di Bergoglio in Corea del Sud, il primo dopo quello del 1989 di Papa Giovanni Paolo II, si è consumata ieri notte, quando il Pontefice era ancora in volo verso Seul. Mentre la presidente della Corea del sud Park Geun-hye lo aspettava alla Casa blu, il palazzo presidenziale, l'aereo papale sorvolava i cieli cinesi. Venticinque anni fa Pechino rifiutò di far passare l'aereo del Papa attraverso il suo spazio aereo, e l'autorizzazione concessa a Bergoglio suona come un segnale d'apertura nei confronti del Papa argentino. Francesco è arrivato ieri in Corea per un viaggio apostolico di cinque giorni per la VI Giornata della Gioventù asiatica. Un viaggio facile, perché la chiesa in Corea del Sud è florida, il 10 per cento della popolazione è cattolica, anche l'attuale presidente Park è stata battezzata dai gesuiti all'università. Ma ormai, si sa, il lavoro diplomatico e politico di papa Francesco è ben più efficace di quello delle burocratiche organizzazioni internazionali. E infatti il vero obiettivo di Francesco è andare in Cina, dove la persecuzione nei confronti dei cristiani non accenna a diminuire. Lo dimostra il sotterraneo lavoro diplomatico del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, mediatore con Pechino anche ai tempi di papa Ratzinger. Durante il sorvolo dello spazio aereo di Pechino, la Santa Sede ha reso pubblico un telegramma inviato da Francesco al presidente cinese Xi Jinping, nel quale ha espresso «cordialità» e ha invocato «la divina benedizione per la pace e il benessere della nazione».

L'altra questione che Bergoglio ha affrontato durante il suo primo discorso di ieri è stata quella della pacificazione della Corea: «Questo appello ha un significato speciale qui, una terra che ha sofferto lungamente a causa della mancanza di pace - ha detto il Papa -. La ricerca della pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità del mondo intero, stanco della guerra». Seul e Pyongyang, divise dal 38° parallelo, non hanno mai firmato un trattato di pace ma solo un armistizio che nel 1953 pose fine alle ostilità. E ieri la Corea del Nord ha accolto Francesco con il test di cinque missili a corto raggio (tre prima che l'aereo atterrasse, due dopo l'arrivo di Bergoglio) lanciati nel Mar del Giappone. Non sembra che i missili abbiano qualcosa a che fare con il Papa - dall'inizio dell'anno ne hanno testati oltre cento - ma spaventano le autorità perché vengono lanciati senza alcun preavviso per gli aerei in transito. Nella propaganda, il regime socialista di Kim Jong-un si mostra tollerante con le confessioni religiose, e ha autorizzato l'arrivo a Pyongyang di 19 sacerdoti cristiani per un incontro di preghiera in concomitanza con la visita papale al Sud. Ma la verità è un'altra.

In Corea del Nord nessuna pratica religiosa viene tollerata all'infuori del culto del leader, e per far arrestare qualcuno basta beccarlo con una Bibbia, come è successo al turista americano Jeffrey Fowle o al missionario cristiano Kenneth Bae, condannato lo scorso anno da un tribunale nordcoreano a 15 anni di lavori forzati per «atti ostili» contro il regime, trasferito ieri in un campo di lavoro.

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