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Montecarlo, quanti autogol nella difesa di Fini

Ogni volta che Fini parla si contraddice: il lapsus sulla data del rogito, la cucina "di Roma" che spunta nel Principato e l’amnesia sul valore della casa. A Saint Lucia nuovi riscontri. Fini medita la fuga dai Tulliani

Montecarlo, quanti autogol nella difesa di Fini

Gian Marco Chiocci - Stefano Zurlo

Lui ci aveva riso sopra: «E queste sarebbero le prove per cui dovrei dimettermi?». Ora anche la cucina dell’appartamento di Montecarlo rischia di imbarazzare, e non poco, Gianfranco Fini. Perché tutto, ma proprio tutto coincide: dal colore agli accessori, dal frigorifero alla cappa tutti i pezzi sono sistemati al millimetro nel modo in cui li aveva descritti al Giornale un dipendente del mobilificio Castellucci questa estate. «Le coincidenze - dice ora al Giornale Davide Russo - sono impressionanti». Gli «ordinativi» pubblicati dal Giornale in agosto e la foto scovata da Ilaria Cavo di Matrix sembrano perfettamente sovrapponibili. «Sono preoccupato - se l’era cavata Fini - perché se dovesse spuntare fuori anche l’acquisto di un portaombrelli sarei davvero nei guai». Che risate. Come se non bastasse anche i mobili coincidono con quelli «trattati», a detta dell’impiegato, nell’azienda sull’Aurelia a due passi da casa. E di mobili trattati a Roma dalla coppia parlano indirettamente il costruttore della Engeco che inizialmente si occupò dei lavori (Luciano Garzelli) e colui che poi restaurò effettivamente l’immobile (Rino Terrana della Tecabat): «Materiali, mobili e cucina arrivarono dall’Italia».

Questa è una storia che, con tutta onestà, Fini non solo non ha chiarito ma ha finito con l’ingarbuglia sempre più. Prendiamo il capitolo quotazione. Nel videomessaggio la terza carica dello Stato dichiara che il prezzo di 300mila euro era adeguato perché superiore del 30 per cento al valore stimato». Che il presidente della Camera fissa a 230mila euro. Dunque, per Fini quei 60-70 metri quadri valevano 230mila euro nel 2008. Peccato che il suo consulente di fiducia, Filippo Apolloni Ghetti, valutasse l’immobile ben più di un milione già nel 2002, sei anni prima. In un’intervista al Giornale, Apolloni Ghetti ricorda addirittura che il segretario di An prendeva appunti mentre gli spiegava la sua valutazione e aggiunge: «Fini rimase sorpreso, mi disse che la valutazione dei suoi tecnici era di 800mila euro». Ottocentomila euro nel 2002? E allora perché oggi è sceso a quota 230mila? L’agente immobiliare chiamò anche un collega di peso, Giorgio Viganò che corresse la stima fra 1,1 e 1,3 milioni di euro. Cifre elevate, superiori di tre, quattro, cinque volte alle valutazioni di Fini. Del resto un’autorevole agenzia, l’International Property Tribune, proprio nel fatidico 2008 rilevava che gli appartamenti avevano raggiunto quotazioni stratosferiche.

Quattro milioni di euro e anche più per due camere, box, vista mare. Cifre lontanissime da quelle evocate da Fini, e senza paragoni in tutta Europa. Apolloni Ghetti ha anche detto al Giornale che offrì a Fini di acquistare lui stesso l’immobile per un milione secco. Ma il leader rifiutò per evitare retropensieri nel mondo di An. Il presidente della Camera, invece, nel comunicato dell’8 agosto, dice testualmente: «Non corrisponde al vero che siano state avanzate a me o per quel mi risulta all’amministratore senatore Pontone o ad altri proposte formali di acquisto». Certo, si può cavillare sull’aggettivo formali. L’offerta di Apolloni Ghetti non era formale? Anche il senatore Antonino Caruso ricevette quella che lui chiama una preofferta: 750mila euro, ma nel 2001. Non nel 2008. Le prove le ha portate ai pm di Roma. Pure il senatore di An, Giorgio Bornacin, aveva trovato gente a Sanremo interessata al palazzo: «Ma al partito mi dissero che non era in vendita».

Le dieci maggiori agenzie immobiliari di Montecarlo, consultate dal Giornale, hanno cristallizzato il valore dell’immobile, dal 2008 ai giorni nostri, ben oltre il milione di euro. Fra i 25mila e i 35mila euro al metro quadro. Insomma, la sostanza è che An blindò il quartierino e di fatto lo tolse dal mercato grazie a Fini. Lo ha ammesso lui stesso: «Dissi io a Pontone di vendere perché l’offerta era congrua». Offerta congrua a una società off shore di un Paese classificato a rischio Ocse per il riciclaggio? Complimenti. Numerosi testimoni, e anche inquilini, ascoltati in agosto (pure da Sky) riferiscono di aver provato invano a contattare i tesorieri di An, i Lamorte e i Pontone, e di non essere arrivati a capo di nulla nonostante la disponibilità a pagare fino a un milione di euro: «Ogni volta chiamavamo e ci veniva detto che al momento il partito non vendeva». Per anni, fino alla svendita finale. Fini e soci hanno provato a mischiare le carte, deprezzando l’appartamento-topaia: le agenzie immobiliari hanno fatto invece presente che in casi di immobili sporchi e mal ridotti, il prezzo cala sì, ma di un’inezia.

E qui vien fuori un altro problema: Fini via web ha detto che il cognato pagava l’affitto (solo 1.600 euro al mese rispetto a cifre ben più alte rispetto a case di eguale metratura) e che aveva sostenuto le spese di ristrutturazione. Circostanza, quest’ultima, smentita dalla società Tecabat che ha riferito d’aver fatturato lei alla società proprietaria dell’immobile, non Tulliani.
E ancora. Fini, nella nota di mezza estate, fa riferimento all’atto di vendita e qui incorre in un gravissimo lapsus perché fissa la data al 15 ottobre 2008. Per la cronaca An cedette l’immobile alla Printemps l’11 luglio e, guarda la combinazione, il 15 ottobre la Printemps lo passò alla Timara, altra società off shore che poi lo affitterà a Tulliani. Come mai Fini confonde i rogiti e parla di quello di cui non dovrebbe sapere nulla? Mistero. Lui non arretra di un millimetro e davanti alle telecamere di Mentana assicura: «Non sono mai stato in quell’appartamento». Ma numerosi testimoni lo smentiscono. L’ingegner Giorgio Mereto, ad esempio, che ha l’ufficio nello stesso palazzo, assicura l’esatto contrario: «Quel giorno si era scatenata una gran confusione fori dal palazzo, e subito dopo fin dentro, nell’androne e sulle scale, con un notevole spiegamento della polizia monegasca a sirene accese».

Quel giorno, secondo le valutazioni dell’ingegnere, va collocato nel dicembre scorso, sotto Natale. E il trambusto ha una sola spiegazione: Mereto vide con i suoi occhi Fini. «Accompagnato - sono le sue parole - da quella bella signora bionda, con i capelli mossi che si vede sui giornali». Ovvero, Elisabetta Tulliani. «Io - è la conclusione - come altri coinquilini gli ho fatto anche un cenno di saluto». Mereto è un visionario? O, più semplicemente, ha solo consegnato al Giornale i suoi ricordi? L’imprenditore Luciano Care, è un altro che offre un riscontro visivo. Poi altri testi (come l’ex vice presidente della Nocerina calcio) giurano d’aver notato il presidente della Camera in giro per Montecarlo. Lui nega. Fini ha poi sostenuto di aver saputo tardi che il cognato (che aveva saputo da chissà chi nel partito che la casa era in vendita, e che poi propose a Fini di alienarlo a una società) era in affitto. Ha spiegato d’averlo appreso «con sorpresa e disappunto» da Elisabetta, che però s’è poi scoperto aver curato personalmente i lavori di ristrutturazione avvenuti ben prima che Giancarlino andasse a vivere nel quartierino.

Poi ha aggiunto che Tulliani aveva saputo che la casa era in vendita «perché Montecarlo non è certo una metropoli» e il cognato era un esperto del settore. Talmente esperto che dovette scomodare l’ambasciatore Mistretta per farsi trovare un’impresa di ristrutturazione. E il cartello vendesi era così esposto nelle vetrine delle agenzie del Principato che nessuno l’ha notato.

Fortunato Giancarlo, mai quanto Elisabetta che ha sbancato al Superenalotto.

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