Politica

MORALISTI SENZA MORALE

C’era da immaginarselo. Di fronte alle telefonate di D’Alema e Fassino col capo di Unipol, da cui emerge un «rapporto molto intimo e del tutto improprio» per dirla col direttore di Repubblica, i vertici della Quercia hanno scelto la linea di difesa apocalittica: invitare i militanti alla vigilanza democratica e lanciare l’allarme golpe. Così sperano di farla franca e di evitare imbarazzanti spiegazioni circa l’intreccio d’affari che li vede protagonisti.
Del resto gli ex comunisti si considerano i migliori, i più democratici, anzi: l’essenza stessa della democrazia. Dunque, tutto ciò che li mette in difficoltà non può che essere una manovra antidemocratica. Avendo per anni confuso lo Stato con il proprio partito, gli ex pci ritengono che qualsiasi critica nei loro confronti sia «un’aggressione che mira a indebolire lo Stato di diritto», così come hanno sostenuto ieri. La difesa, come dicevamo, era prevedibile e già vista. Quando in piena Tangentopoli girò voce che i magistrati di Milano volessero mettere il naso anche nei conti dell’allora Pds, Achille Occhetto adottò la stessa tecnica: «Se mi arriva un avviso di garanzia è un golpe». Per D’Alema e compagni l’informazione giudiziaria è democratica solo quando colpisce l’avversario politico, sia che si tratti di un dc, di un socialista o di Berlusconi. Se tocca la sinistra è eversiva. Il partito che fu di Berlinguer – il segretario che sollevò la questione morale pur sapendo che il Pci per anni aveva campato coi soldi dell’Unione Sovietica – non può ammettere di avere le mani in pasta con le speculazioni finanziarie e nemmeno può confessare di essere socio di fatto di uno scalatore borsistico. Il partito dei giudici non può neppure lontanamente concepire che proprio quei giudici che per anni ha allevato e fomentato oggi gli si rivoltino contro e chiedano ragione di curiose telefonate, ma anche di vorticosi giri di denaro che ruotano sempre intorno a un solo soggetto: Unipol, la compagnia d’assicurazione delle Coop rosse.
Terrorizzati di fare la fine dei socialisti e di essere spazzati via da una nuova ondata giustizialista, i Ds provano a rompere l’isolamento politico in cui sono precipitati, ma gli alleati appaiono freddi e distanti. Non una parola dagli amici della Margherita, qualche parola ma non benevola da Antonio Di Pietro e dalla sinistra radicale. In soccorso dei vertici della Quercia è andato solo un vecchio giudice, il compagno di sempre: l’ex procuratore capo di Milano, Gerardo D’Ambrosio, oggi senatore ulivista, è giunto a evocare il Sifar, il vecchio servizio segreto degli Anni Sessanta che la sinistra identificava come fonte di ogni nefandezza. «Far uscire ora le intercettazioni», ha spiegato l’ex magistrato, prendendosela con quelli che furono suoi colleghi, «vuol dire volerle usare per la politica». Ma non è più il 1993, quando D’Ambrosio, con un colpo a sorpresa, «prosciolse» il Pds dall’accusa di aver preso tangenti attraverso Primo Greganti. Gli anni sono passati per tutti, anche per l’ex giudice.

Che oggi non ha più assi nella manica in grado di mandare assolti i suoi compagni di viaggio.

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