Politica

La Moratti fa l’occhiolino al Fli che la insultava

L’ex sindaco di Milano cerca approdo politico dai futuristi. Gli stessi che la fecero perdere alle ultime amministrative

La Moratti fa l’occhiolino  al Fli che la insultava

Un incontro a ora di colazione con Gianfranco Fini, nel suo appartamento privato alla Camera. Vittima di un’insana sindrome di Stoccolma, Letizia Moratti rinuncia alla sua più volte affermata (almeno a parole) distanza dalla politica, per bussare alla porta dei suoi carnefici. Attratta da quel Terzo polo che l’ha messa in croce quando era sindaco di Milano e ha contribuito alla sua sconfitta. «Il mio impegno in politica non finisce qui», disse il 30 maggio di fronte alla vittoria di Giuliano Pisapia di cui ancora non si capacita. Confusa da una corte di consiglieri non sempre ben scelti che la convinsero di una vittoria certa. Così non fu e la delusione pesa ancora. Anche perché lo scontro fratricida contro Manfredi Palmeri, il candidato ex forzista passato con i futuristi finiani, fu cruento. «Letizia Moratti - uno degli attacchi - non può pensare che un eventuale secondo mandato siano i tempi supplementari del primo. Oppure dica chiaramente che lei avrebbe bisogno di 10 anni per fare ciò che ha promesso di fare in 5».
Un tracollo a cui è seguito quello altrettanto doloroso di san Patrignano con l’allontanamento di Andrea Muccioli, il figlio del fondatore. Ma dal giorno della sconfitta è cominciato il giro delle sette chiese. Prima il distacco dal Pdl in consiglio comunale con la creazione di un gruppo autonomo. E poi il mancato rinnovo della tessera. Preludio si disse del lancio di un nuovo partito. Magari da aggregare a quello fantasma a cui lavorerebbe Luca Cordero di Montezemolo, oggi stroncato dal golpe dei tecnici arrivati al potere con Mario Monti. Tramontato ancor prima di nascere l’astro di Montezemolo, a cui Moratti e famiglia (a cominciare dal marito Gianmarco patron della Saras e generosissimo finanziatore delle imprese politiche della moglie) sarebbe stata legata dal comune dna confindustriale, lady Letizia s’è guardata in giro. E ha pensato che in fondo cattolicone e moderato, Pier Ferdinando Casini potesse fare al caso suo. Ma sul relitto della balena bianca son democristiani e al momento della richiesta di una poltrona di prestigio, nessuno s’è alzato dicendo «ecco la mia, prego s’accomodi». E così non se n’è fatto nulla. Che resta? Gianfranco Fini, l’uomo per tutte le stagioni, il re del trasformismo. Ed ecco l’incontro di ieri benedetto da Italo Bocchino. Al centro, han riferito quelli di Fli, la possibilità di utilizzare questa fase di tregua per favorire la nascita di una coalizione capace di allargarsi a tutti coloro che intendono rinnovare l’attuale sistema politico. In sostanza capire se la Moratti possa entrare in quel Terzo polo che a Milano le dà ancora addosso. Perché l’assessore Bruno Tabacci (Api di Rutelli), le chiede ragione del buco di bilancio lasciato in eredità. E responsabile, dice, dell’aumento dei tram e delle nuove tasse che stanno grandinando sui milanesi. Mentre gli ormai ex compagni del Pdl ne approfittano per un regolamento di conti. «Sarebbe bastato che avesse le idee più chiare prima - taglia corto l’ex vicesindaco Riccardo De Corato - e ci saremmo salvati anche noi». Ironia da sinistra.

«Come dice la pubblicità - sorride il presidente del consiglio comunale, l’extrasinistro Basilio Rizzo - vedere Letizia Moratti consigliere del gruppo Manfredi Palmeri, non ha prezzo».

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