Cultura e Spettacoli

Moretti, sotto le battute c’è poca sostanza

Il film sul Papa depresso è divertente e garbato ma non riesce ad andare oltre la commedia, per quanto riuscita Manca una riflessione convincente sulla dimensione religiosa: i sacri palazzi restano materia ignota al regista

Moretti, sotto le battute c’è poca sostanza

E se un odierno successore di Pietro si affaccia dal balcone vaticano, guarda la piazza gremita di gente all’inverosimile - un popolo plaudente, lieto, rassicurato e desideroso di conoscere il volto del nuovo pastore - e inaspettatamente dichiara di rinunciare alla missione? Su questo assunto si regge il nuovo, undicesimo lungometraggio di Nanni Moretti, Habemus Papam. Ci perdonerete abbiamo svelato il finale, cosa che non si dovrebbe mai fare. Ma non c’è alternativa, poiché di questo, e soltanto di questo, parla il film: della rinuncia. È morto un Pontefice. Vediamo con immagini di repertorio il funerale di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Attacca la finzione, nel conclave quasi totalmente composto da vecchietti timorosi, pieni di acciacchi, con il comodino ingombro di medicine. Pregano questi cari vecchietti. Pregano il Signore che li risparmi dalla prova finale: la conduzione della barca. Alla fine ci si orienta su Melville (un misurato e bravo Michel Piccoli). È fatta. Applausi, baci, inchini. Abito da cerimonia, acconciato in fretta. Stola rossa. La grande finestra aperta sul mondo, ecco la lieta novella: «Habemus Papam». Il cerimoniere felice si gira per introdurre il nuovo nocchiero della cristianità. Non esce nessuno. Anzi, si odono grida, richieste di aiuto. Il Papa è in preda alla paura. Il sorriso si spegne sulle labbra di tutti. Il silenzio cala gelido sulla folla festante. Comincia l’avventura di un povero vecchio, che smette subito la veste bianca, intimorito e schiacciato dal peso della responsabilità. Da giovane voleva fare l’attore. Ma fu costretto a rinunciare. Così ha intrapreso un’altra carriera, che l’ha portato, di teatro in teatro, al più grande palcoscenico della storia.
E Nanni Moretti? Eccolo accorrere al capezzale del Santo Padre in stato confusionale. Ha il volto severo dello psicologo di fama, il «migliore»: separato, lavoratore, saccente, non credente, vestito come un prete. In La messa è finita, nel 1985, Moretti era un giovane sacerdote, senza barba e con la tonaca, alzata con le mani per correre senza impacci appresso al pallone in oratorio. Don Giulio era incazzato, autoritario, tagliente, intransigente. Curava le anime. Ora, in abito scuro, è al capezzale del Papa tormentato. Cerca di soccorrerlo non con le Sacre Scritture, ma con il verbo di Freud, «maestro del sospetto» somministrato quale estrema medicina. Moretti è in grande forma. Scherza, cava dal cilindro una battuta dietro l’altra. Costretto a convivere col collegio cardinalizio, organizza tornei di pallavolo, batte con astuzia i cardinali alle carte, e prova a parlare col «paziente». Dai discorsi sono banditi però riferimenti a sesso, madre, infanzia (solo di sfuggita e con tanta cautela), sogni. Quindi non si parla di nulla. Si sospetta un «deficit di accudimento»: ma è solo un’ipotesi. Bene. Siamo al finale: la grande rinuncia. La Chiesa ha bisogno di un profondo rinnovamento, deve amare tutti, dice il Papa prima di eclissarsi per sempre.
Se prendessimo Habemus Papam per una pura e semplice commedia, ci sarebbe poco da aggiungere. Quando Moretti si impegna è irresistibile. Ma chiudiamo qui? Ce la caviamo con la commedia, le risate, la caricatura grottesca? In realtà Moretti aveva in mente ben altro progetto. Voleva - come ha sempre fatto - ritrarre il mondo, magari deformandolo. La macchina da presa doveva scandagliare il fondo dei Sacri Palazzi. E qui, proprio qui, sta la debolezza del film. Di questo mondo Moretti capisce poco. Non ne ha una profonda conoscenza, sensibilità. Anche se non mostra nessun rancore verso la Chiesa come istituzione. E riesce anche a trasformare, con autentica simpatia, i vecchierelli cardinali in allegri ragazzotti. Moretti nel suo cinema non è mai stato ostile alla religione. Come non è mai stato ostile alla vita. Probabilmente è stato attratto da Giovanni Paolo II (Melville, per sua stessa ammissione, a lui rimanda). L’ultimo successore di Pietro di Habemus Papam, però, è privo della dimensione religiosa. Potrebbe essere fabbro, medico, attore, venditore ambulante. Ma non uomo di fede. Si può fare un film su un uomo di fede (anzi, sulla guida di un’immensa e planetaria comunità religiosa) staccandolo dalla prospettiva divina? Il giovane don Giulio, nel finale di La messa è finita, prima di partire per un posto lontano, spazzato dal vento, finalmente rideva.

Habemus Papam si chiude nel silenzio, nel buio, nell’angoscia. Caro Moretti, per il prossimo film perché non richiami don Giulio dall’esilio in Patagonia?

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