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Mourinho ora è «zeru parole»

Dicono le cronache dagli Stati Uniti che José Mourinho è arrabbiato. Non parla con i giocatori, non parla con i giornalisti, contro il Chelsea ha mandato in campo i rincalzi snobbando sia la partita sia il pubblico che aveva pagato il biglietto; l’unico che non avrebbe dovuto far giocare, Ibrahimovic, l’ha fatto giocare. Un elementare senso di cortesia nei confronti di chi si appresta a pagare Ibra a peso d’oro (il Barcellona) avrebbe suggerito uno stop. Invece Mou l’ha messo in campo, esponendolo al rischio di infortuni, e infatti lo svedese si è infortunato. Si è mezzo rotto una mano, pensa se si fosse mezzo rotto un piede. Comunque anche la mezza frattura alla mano è una mezza grana per l’Inter, e Mou evidentemente è contento di aver dato almeno una mezza grana.
Come i bambini che tengono il muso, Mourinho non dice perché è arrabbiato. Però fa di tutto per farla vedere, la sua luna. Dicono i colleghi che già durante il viaggio in aereo se ne è rimasto seduto in fondo, da solo, senza proferire parola, lui che con le parole ha costruito la sua fortuna. Come Nanni Moretti si chiedeva se lo si notava di più se non andava alla festa oppure se ci andava ma se ne stava zitto in un angolo, Mourinho si dev’essere chiesto che cosa lo avrebbe fatto notare di più, e ha scelto l’opzione del separato in casa. Ci sono, ma tengo il broncio.
Il poveretto va capito. Allena la squadra campione d’Italia. Guadagna nove milioni di euro netti all’anno, anzi quattordici, come ha tenuto qualche tempo fa a precisare quando un giornalista, pensando appunto che i milioni fossero solo nove, gli ha in pratica dato del pezzente. Il suo presidente, Moratti, gli ha venduto il pezzo da novanta, Ibrahimovic appunto, per soddisfare la capricciosa esigenza di far quadrare i conti. Lo stesso ha fatto il Milan vendendo Kakà. Ma mentre il Milan il suo gioiello lo ha rimpiazzato solo con un bonifico, difficilmente utilizzabile dalla metà campo in su, Moratti a Mourinho ha messo a disposizione, al posto di Ibrahimovic, un tale Eto’o che ha segnato qualche gol più dello svedese, soprattutto in Champions; un tale Milito che l’anno scorso nel Genoa ha fatto 24 gol in 31 partite; un tale Lucio che è capitano del Brasile, non della Gagliarda di don Camillo; un tale Thiago Motta che è stato uno dei migliori centrocampisti dello scorso campionato, forse anche un tale Hleb che il Barcellona ha pagato 14 milioni solo un anno fa.
L’estate è il momento in cui tutti gli allenatori sfoderano sorrisi da pubblicità; anche coloro che hanno ricevuto in dono dal proprio presidente un esterno della Sambenedettese o un fluidificante dell’Albinoleffe assicurano: vedrete i nuovi acquisti, vi stupiranno. Mourinho invece no. Alla prima conferenza stampa ha caricato la squadra e la tifoseria con incoraggianti proclami del tipo: «Non è l’Inter che sognavo»; «Siamo in troppi, così non si riesce a lavorare»; «In Europa ci sono almeno tre-quattro squadre nettamente più forti di noi». Ora che parte Ibra, aspettiamo solo che dica: per la zona Uefa siamo in corsa anche noi.
Il Mourinho versione-Tafazzi non è probabilmente innocente. Con la sua litania del chiagnere senza fottere mette le mani avanti, fa capire con largo anticipo che se l’Inter non vincerà niente non sarà colpa sua ma della società. Ah, se gli avessero comperato i giocatori che lui voleva... I Deco e i Carvalho, 32 anni cadauno, già scartati senza pietà da un certo Hiddink. Ah, se avessero ascoltato i suoi consigli come li avevano ascoltati l’anno scorso, quando a Milano arrivarono i fenomeni Quaresma e Muntari.
Ma oltre che pararsi il didietro in caso di insuccesso, Mourinho con il suo mal di pancia riesce ancora una volta ad attirare l’attenzione su di sé. Arte in cui è maestro. L’anno scorso lo ha fatto mirabilmente. La sua Inter non ha giocato bene, spesso non ha neanche giocato al calcio, ma Mou è riuscito - gli va riconosciuto - a galvanizzare l’ambiente, a caricare squadra e tifosi, a prendere a ceffoni una stampa che da tempo tratta l’Inter a pesci in faccia. Il suo monologo sulla prostituzione intellettuale dei giornalisti e la battuta «zeru tituli» valgono l’ingaggio. Quello è il Mourinho che piace agli interisti. Come Herrera, il portoghese probabilmente non è un grande competente di calcio (l’Inter euromondiale degli anni Sessanta in campo la sistemava Picchi) ma è un grande motivatore. Se però si mette a seminare depressione, non serve più.

E per tentare di rivincere almeno lo scudetto (che non fa poi così schifo) l’Inter può richiamare Mancini, o anche Bersellini.

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