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Napoli, bomba anti Pdl: è più colpevole la sinistra che tace e minimizza

Il fronte anti-Cav minimizza, facendo passare un messaggio preoccupante: agire contro il Pdl è morale e comprensibile. Basta guardare l’indulgenza con cui il Tg3 parla dell’ordigno a Lettieri

Napoli, bomba anti Pdl: è più colpevole la sinistra che tace e minimizza

Ne ho viste abbastanza di bombe in vita mia, da quelle stragiste a quelle dimostrative, compresi quei petardoni che si chiamano bombe-carta e so per esperienza di cronista e di osservatore storico che questi oggetti non sono mai davvero frutto di «spontaneismo» e mai innocenti. Ricordo, ad esempio, che il 4 agosto del 1969 fu fatta esplodere una bomba carta come quella lanciata ieri contro il comitato elettorale del sindaco di Napoli che già ieri l’altro ha dovuto rifugiarsi co­me ai tempi dei bravi manzo­niani in una chiesa per sfuggi­re ai nobili squadristi dei cen­tri sociali che volevano inflig­gergli una lezione morale.

Quel 4 agosto di 42 anni fa il botto al Senato introdusse un elemento dinamitardo in un panorama simile a quello dei nostri giorni, già avvelenato dall’odio e da fosche profezie. Allora si andava verso l’otto­bre caldo delle rivendicazioni sindacali, verso gli scontri di piazza di novembre e la strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre. La storia per fortuna non si ripete quasi mai, ma sarebbe un errore non guardare in filigrana una escalation di spontaneismo indignato che sceglie di allu­dere, per ora solo alludere, al­la violenza. Una bomba-carta contro un comitato elettorale non è un grande evento bellico, ma un preoccupante segnale poli­tico e morale.

Politico perché serve a far politica; morale per­ché viene scandito secondo categorie morali formulate in modo da giustificare in manie­ra subdola e obliqua atti ag­gressivi che attingono alla simbologia del kamikaze isla­mico, della strage annuncia­ta, dell’attentato in luogo pub­blico. Prendiamo il caso di questo ordigno rozzo e per fortuna quasi innocuo. Se si ascolta il Tg3 che dà notizia del fatto, fa impressione una inattesa in­dulgenza: il servizio televisivo non dà dettagli, non mostra buchi, non dice nulla sulle in­dagini ma ricostruisce un re­troterra giustificazionista rife­rendosi a scontri all’universi­tà fra studenti di destra e di si­nistra, enfatizzando il fatto che uno studente neonazista e certamente grottesco aveva celebrato il giorno della nasci­ta di Adolf Hitler, un infausto evento che risale al 20 aprile del 1889, ovvero a 122 anni fa.

Celebrare il compleanno di uno degli uomini più abomi­nevoli dell’umanità – ma Jose­ph Vissarionovich Dzugašvili detto Stalin (Acciaio) fu un macellaio ancora più inferna­le e tuttavia il suo complean­n­o viene spesso celebrato sen­za troppo scandalo nel mon­do – è certamente indizio di di­sturbo culturale. Tuttavia ci ha colpito il fatto che la noti­zia della bomba-carta contro il comitato pro Lettieri veniva data suggerendo che si trattas­se di una «morale» reazione ad una azione ignobile, come rendere omaggio ad Hitler. Questo meccanismo di fatto giustificazionista ci preoccu­pa francamente più della bomba-carta che, fatto il suo mestiere, lascia soltanto fu­mo e puzza senza ulteriori sco­rie dannose ai cervelli. Il fatto è che da tempo lo smerlettato fronte antiberlu­sconiano non riesce a impedi­re che passi il messaggio se­condo cui agire contro il parti­to del presidente del Consi­glio è comunque azione «mo­rale » prima che politica, e che alla fine ogni mezzo è buono per ottenere la sconfitta del centrodestra, magari anche qualche cazzotto, petardo, duomo in faccia o cavalletto alla nuca.

Questo legame fin­tamente moralista fra «azio­ne » aggressiva e politica non è un fenomeno soltanto italia­no visto che il 93enne france­se Stéphane Hessel ha vendu­to più di centomila copie di un testo noto quasi soltanto per il titolo «Indignez-vous!», «Indignatevi!», in cui, da vec­chio partigiano, invita i più giovani connazionali non sol­tanto ad indignarsi ma a tra­durre la propria indignazione in ribellione aperta, dunque in atti –almeno da un punto di vista iconografico – violenti. A quel libro francese ha ri­sposto in modo sommesso e vigoroso ad un tempo, un al­tro grande vecchio, stavolta di sinistra, e cioè Pietro Ingrao di 5 anni più vecchio del fran­cese.

Il libretto di Ingrao, edi­to da Aliberti, si intitola «Indi­gnarsi non basta » e sostiene la coraggiosa e onesta tesi secon­do cui tutti coloro che o­stenta­no indignazione e urlano e vo­ciferano indignati, non agisco­no in modo morale e nemme­no politico. L’indignazione fa rima con finzione e non è buo­na moneta politica. Mai, alme­no da sola. Napoli è d’altra parte una città per sua natura eccitata ed eccitabile, ma non politica­mente violenta: non è Roma, non è Milano e neanche Tren­to e Padova dei tempi andati e non ha tradizioni recentissi­me di natura insurrezionale «morale». Diciamo pure che Napoli ha tanti problemi mo­rali interni al proprio tessuto sociale da non avere tempo e modo per dedicarsi ad altre in­dignazioni. Eppure, ecco che anche Napoli sembra avviarsi verso una china avventurista e fracassona che sembra cede­re al richiamo semplificatore della violenza, benché anco­ra stracciona. Si tratta dun­que di un segnale e va colto.

Allora noi vorremmo, con se­rafica calma e senza attribuire ai fatti maggior valore di quan­to la loro natura suggerisca, in­dicare non tanto ai responsa­bili dell’ordine pubblico, mai ai politici e ai nostri colleghi giornalisti un vecchio, antico e ripetitivo grave rischio: quel­lo della minimizzazione con cui si giustifica qualsiasi vio­l­enza contro la democrazia al­l’insegna dello slogan secon­do cui «bisogna pur compren­dere la rabbia degli indigna­ti ». Ecco: in democrazia esiste e va protetto lo spazio della lot­ta politica durissima, fronta­le, senza sconti e anche con le dita negli occhi.

Ma deve esse­re smascherato, denunciato e immediatamente chiuso lo spazio per una lotta che consi­ste nell’uso delle armi proibi­te della paura, della minaccia, del linciaggio, della sopraffa­zione.

Vogliamo denunciare oggi quel che temiamo con un filo di allarmismo, affin­ché domani nessuno possa ri­trarsi dalle proprie responsa­bilità politiche (e morali) se la pratica della violenza «mora­le » producesse danni più gra­vi e versasse sangue.

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