Cronache

Napoli, l'odissea infinita di chi usa mezzi pubblici

La città piena di turisti, ma il trasporto pubblico arranca. L'odissea raccontata da chi viaggia

Napoli, l'odissea infinita di chi usa mezzi pubblici

"Napoli è diventata proprio una capitale europea", dice Flore con un italiano ancora perfetto, cadenzato dal suo accento francese. Direttrice di una scuola a Porto Said, arrivata dall’Africa col suo fidanzato egiziano, è ritornata in quella Napoli che aveva lasciato due anni prima. Ci aveva vissuto per quasi un anno, dopo aver girato il mondo. Si guarda intorno estasiata, come non mai. I monumenti, i vicoli, i panorami mozzafiato. È un incanto la città, un incanto che si rompe laddove termina la visita a piedi e bisogna affidarsi ai mezzi di trasporto pubblici per spostarsi.

Si parla di una Napoli piena di turisti, in questo periodo. Si contano migliaia di visitatori nei musei, agli scavi di Pompei ed Ercolano. Un vero e proprio boom. Per il Comune di Napoli “I servizi pubblici hanno funzionato”. “Bene anche taxi, mezzi pubblici e pulizia”, ha affermato l’Ente locale nel redigere il suo bilancio di Ferragosto. Non sarà d’accordo Antonella, che con la sua amica, giusto una settimana dopo l’arrivo della estasiata Flore, ha dovuto affrontare troppi disagi per andare e tornare dal porto che collega la città di Partenope alle isole del golfo. Non saranno d’accordo nemmeno i gruppi incontrati al ritorno, che hanno dovuto abbandonare l’idea di prendere un autobus per poter salire sul treno che doveva riportarli a casa.

Uscendo dal porto di Calata Porta di Massa non esistono informazioni. Con valigia in mano e zaino in spalla, chi vuole prendere la navetta si raccoglie sotto un cartello posto di fronte alla porta di ingresso, che si limita solo ad indicare la presenza di una fermata. Lì si accalcano sempre auto e scooter, invadendo lo spazio dedicato ai bus. Nessuno sa nulla. Riuscire ad ottenere delle indicazioni chiare è questione di fortuna. Nemmeno il barista che vende i biglietti ne azzecca una. Alla fine si scopre, grazie a qualche passante, che l’autobus di linea che conduce alla stazione centrale si trova sulla strada all’esterno, in via Marina. Antonella riesce ad arrivare dopo trenta minuti sotto la pensilina giusta, affidandosi a una vecchia e intramontabile “app”: la parola. Finiscono per ritrovarsi in quattro. A lei e alla sua amica, si aggiungono due ragazze dirette a Roma. Tutte disorientate. Alla fermata c’erano almeno dieci persone. A parte un paio, tutte erano dirette alla stazione ferroviaria di piazza Garibaldi. Ancora una volta nessuna informazione, se non il nome della fermata e quello degli autobus di passaggio riportati su una tabella dell’azienda Anm. L’unico mezzo che conduce alla Centrale è il 151. Passa? Non passa? Tra quanto tempo? Domande rimaste senza una risposta. Quindici, trenta, quaranta minuti, un’ora di attesa snervante. Un’anziana donna diretta ad Avellino è stata costretta a spostarsi a piedi verso un’altra fermata, a qualche centinaio di metri di distanza, nella speranza che arrivasse un pullman che la conducesse a piazza Municipio (dall’altra parte della città) per prendere lì la metropolitana con cui approdare al suo treno. Un’alternativa su cui hanno ripiegato anche gli altri turisti sfiancati dal peso dei borsoni e dal caldo.

Antonella ha dovuto percorrere a piedi la strada verso la stazione della Circumvesuviana, la linea ferroviaria che collega la metropoli ai comuni della provincia, su cui spesso capita che si viaggi stipati in carrozze insudiciate, in particolare sulla linea che conduce a Sorrento. Lungo il cammino aveva pensato di imboccare una scorciatoia da piazza Mercato: “Non passare da qui, è pericoloso per due donne sole”, le ha consigliato animatamente un uomo di origini pakistane, quando ha capito le sue intenzioni. Sceglie, quindi, di proseguire con la sua amica lungo via Marina, fino all’incrocio con corso Garibaldi, dove assiste allo spettacolo di una donna che, stretto intorno al polpaccio un laccio emostatico, si buca frettolosamente a pochi passi da una caserma dei carabinieri, butta la siringa a terra e corre verso il suo scooter intontita da un’astinenza placata dall’eroina appena iniettata. Una della scene di degrado e disagio sociale rispetto alle quali ormai domina l’assuefazione. Si prosegue col cammino. Intanto di 151 non se ne vedono nemmeno in lontananza. L’alternativa sarebbe stato un taxi. Ma anche con quelli, nel breve weekend agostano, le esperienze sono state negative. Costretta a pagare una tariffa prefissata, senza avere possibilità di scelta, sia a Napoli che a Ischia. “Vedi che c’è la tariffa fissa”, obbliga l’autista, che non le lascia altra possibilità. Gliela impone. Si sale a bordo, comunque. “Prenotare il biglietto del traghetto è stato impossibile su internet, non possiamo rischiare anche di restare a terra”, riflette con la sua compagna di viaggio. Si decidono e partono in auto. Tredici euro per circa due chilometri, con tassametro spento per forza e senza traffico. Una volta scaricate, il tassista gli consiglia: “Al ritorno fatelo accendere il tassametro”. Una beffa, che si replicherà poi a Ischia dove, addirittura, a fronte dei trentacinque euro richiesti come tariffa predeterminata, l’autista ne pretende 45, sempre a tassametro tassativamente spento. “Siete in quattro, e vi ho fatto pure un favore perché vi fermate in posti differenti di Forio”, prova a giustificarsi parlando alle due ragazze e alla coppia di amici incontrati casualmente all'arrivo sull'isola.

Così, mentre la cultura, la bellezza naturale di Napoli e della sua provincia continuano ad attirare turisti da ogni parte del mondo, in città pare che ci sia una forza contraria che sta lavorando per farli desistere dal ritornare.

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