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Nata e cresciuta come in un sogno: la città dei sensi sulla terra che balla

Il napoletano Domenico Rea racconta il fascino marino di Pozzuoli, che conquistò già i Romani ma rischia di scomparire

di Domenico Rea

«In nessun luogo come in questo l'uomo ha tanto abusato di tutti i suoi sensi; ha tanto esercitato l'ultima passione dei ricchi e dei potenti: la passione dell'impossibile... Tiberio, vecchio e logoro, vuole trovare qui i suoi piaceri; Caligola vuole un ponte sul mare da Baia a Pozzuoli; Nerone vorrebbe essere donna. Tutti vogliono l'impossibile. Tutti lottano contro la natura... Gli orrori visti da questa città sono stati tanti che l'hanno consunta e semidistrutta come Sodoma».

A scrivere queste note è Strabone; che parla anche per Pozzuoli di scempio edilizio. Al seguito e dietro la gente Claudia e Giulia nell'ambiente di Pozzuoli - Lucrino, Baia, Monte di Procida, Cuma - sacra alla Sibilla, visitata da Enea - arrivano patrizi, cortigiani, i commercianti arricchiti, fra cui, splendido, Trimalchione e pederasti e lesbiche di alto e basso rango. Ineffabile terra corrotta (e beato chi visse quello sciupio dello spirito e della carne...), il «greco antichissimo e soprattutto dottissimo Omero», ne riferisce il Petrarca in una sua lettera a Giovanni Colonna, cardinale «non trovando (si pensi in tutto il Mediterraneo!) luogo più nobile e al suo racconto più acconcio, lo prese dall'Italia», ossia nel triangolo segnato da Capri, Ischia, Procida e Pozzuoli. Il Pozzuolo di Boccaccio, che vi vedeva cavalieri e dame, fra cui la sua Fiammetta d'Aquino.

Terra, dunque, di godimento. Pozzuoli è il porto commerciale dei romani e il commercio, si sa, ha risvolti estroversi: belle case, squisiti cibi, vesti preziose, eros. Ancora oggi sono celebri le piccole ostriche del Fusaro. Immaginarsi allora. Ho provato le ostriche formato piatto del golfo di Biscaglia; sono andato a bella posta a Bilbao, anni or sono, per provare le ostriche occitaniche; ho mangiato migliaia di ostriche parigine: tutte insieme non valgono l'aspro e amaro (quasi di fiele) sapore di quelle minuscole del Fusaro. E di queste ostriche e di altri frutti di mare i romani erano ghiotti. Anche le carni condivano con salse di pesce; e nessuno mi toglie dalla testa che fra le ragioni per le quali tutti quei signori che si chiamavano i Plinii, il vecchio e il giovane, Virgilio e Orazio, il suocero di Cesare, la lattea Poppea, venivano a Pozzuoli e contorni - i Plinii avevano villa e biblioteca a Miseno - c'era la brama dei frutti di mare e di vivere le pulsazioni del grande, forse allora il più grande di tutti, mercato del pesce.

Ho visitato mercati ittiologici un po' dovunque. Sono stato a San Benedetto del Tronto, a Chioggia, a Smirne, a Barcellona, a Formia, a Gaeta, alla Vucciria, alla strapotente Mazzara del Vallo, ad Acitrezza, a Cetara e alla stessa Posillipo, grandiosi mercati, ingarbugliati e intricati porti di arrivo del pescato del Mediterraneo e dell'oceano; ma si tratta pur sempre di mercati. Il mercato di Pozzuoli, dall'alba e insino al mezzogiorno, è un emporio: è un bazaar in cui si ha l'impressione di entrare all'interno di quella che dovette essere una stampa antica.

Non un segno ricorda il presente. Cantine, trattorie, bar, case aggrovigliate in un'architettura onirica, costruite l'una sull'altra per una sorte di addizione folle, con percorsi labirintici ben noti a chi ci vive, fra precipizi di cupe ombre ed esaltazioni di luci abbaglianti, è tale la potenza e la personalità di quest'ambiente, rimasto come un tappeto tessuto da mani del passato promiscuo romano fino ai nostri giorni da renderlo la materializzazione di un sogno. E non sono mica io, modestissimo omuncolo e pluriennesimo scrittore locale, a dirlo, casomai per un'ovvia e deleteria e viziosa inclinazione campanilistica.

La personalità di Pozzuoli è tale che tutto il mondo moderno le è scivolato addosso come una schifezza. Fino a poche ore or sono quando sono ricominciati i «sismi», lo scendere e il salire, fenomeni di sempre, Pozzuoli era all'incirca com'era duemila anni or sono. A dirlo, a testimoniarlo, a sottoscriverlo fu uno dei tre più grandi prosatori della letteratura italiana - opinione di Emilio Cecchi - Amedeo Majuri: «Tutto il confuso tumulto del porto, dei fondachi, dei mercanti greci, alessandrini, arabi e siri; e tutto il vociare dei mediatori, dei noleggiatori e dei facchini, e il tramestio dei trafficanti e degli avventurieri» non si è placato «nelle fila interminabili dei cinerarii», né «si è spento nelle povere olle di terracotta, di vetro o di piombo».

Fino a poche ore sono Pozzuoli è rimasta alacre come una stampa anastatica all'apice dei traffici. Le navi all'alba? Fossero pure delle astronavi sovietiche o americane, dall'ambiente paleo persiano-egizio-greculo-romanico erano ridotte a nere, grevi, panciute carrette di mare, quasi navi in quarantena o a velieri straziati e spogliati dalle tempeste.

Tranquilli marinai dialettali si potevano scambiare per balenieri; capitani di lungo corso per dei Mac Whirr che hanno superato a cuore fermo l'ingorgo verticale di un tifone a bordo di uno dei tanti Nan-Shan di Conrad... Gigantesche tinozze piene d'acqua di mare palpitano di pesce vivo: pesce di ogni razza ed estrazione: saraghi, orate, sogliole, merluzzi, dentici, polipi, seppie et venus verrucosa, tapes decussatus, ostrea edulis, acantrocardia tubercolata, patella cerulea et haliotis iamellosa: una città antica di mare da superare i confini della memoria con un pescato così vivo e gremito da superare il futuro.

E ora? Ora cosa è diventata Pozzuoli? Se andrà perduta ascriveremo la colpa per un terzo alla furente natura per altri due alla violenza e cattiveria degli uomini. La terra puteolana ha sempre ballato.

Nel 1500 si contano decine di azioni sismatiche: nel 1536, nel 1537, nel 1538 (anno della famosa eruzione di Tripergola con la conseguente nascita del Monte Nuovo) e poi nel 1566-68-69 (con danni agli edifici) nel 1575, e nel 1582 con numerose vittime e danni alle case. Unica tregua si avrà dal 1594 al 1794, due secoli, per quanto si sa, intervallati solo da qualche piccolo ballo. Ma nel 1805 il fenomeno ricomincia e si rinnova nel 1832-51-54-56-59. C'è poi un balzo di quasi un secolo fino al 1930 e poi nel 1962, l'anno in cui sarà evacuato il Rione Terra.

Gli storiografi non elencano i fenomeni verificatisi prima del 1500; ma si può essere sicuri che si saranno ripetuti gli stessi balli. I romani, grandi costruttori, conoscitori espertissimi del suolo, lo sapevano; sapevano che, tutto sommato, ci si poteva fidare di questa terra ballerina per antonomasia tanto è vero che vi costruirono quel porto grandioso commerciale, ora sommerso, spalancato sul Mediterraneo, erigendovi dattorno emporii, magazzeni, uffici e meravigliose residenze da godersi in tutta tranquillità. Non fossero stati certi di questo «concetto» avrebbero aperto il porto, fondamentale per i traffici esteri ed interni, un po' più in su o giù, uno spostamento di pochi chilometri.

Il Serapeo, il macellum, per fare un esempio, ha due pavimenti: uno per inglobare i moti ascendenti, un secondo per contenere al suo posto quelli discendenti. Il Serapeo ha fatto sempre questo: si è innalzato e infossato, ma è sempre rimasto al suo posto astato e nobile come un giocoliere.

Ma si può portare a esempio anche un altro campione: il Rione Terra. È stato abbandonato qualche tempo fa, ma non una, non una casa del villaggio - la radice, la vera Pozzuoli intorno a cui fu edificato il restante - oltre alle lesioni ha subito crolli. Il fatidico e famigerato Rione è stato abbandonato, ma chiunque avesse avuto vaghezza - e qualcuno vi è rimasto - di rimanervi non sarebbe stato seppellito dalle macerie. Tutti i resti romanici si trovano dove furono lasciati, alcuni sott'acqua, che, da un momento all'altro, potrebbero tornare a galla. Fino alla fine dell'Ottocento si riteneva che fosse il mare a salire o a abbassarsi di livello, non la terra. Un saliscendi plurimillenario, ma che non aveva mai impaurito i puteolani - una razza a parte, anche oggi, come gli etruschi o i sanniti - costruttori geniali di case antisismiche.

Non costruirono mai case e palazzi oltre il primo, al massimo, il secondo piano: stature basse, ben piantate nella terra, per sopportare il ballo. Esperienza rinforzata dopo il disastro della nascita a gobba del Monte Nuovo (1538): «... Nel 26 e 27 settembre la terra fu continuamente e di giorno e di notte tutta commossa; il mare per circa 200 passi, retrocedette, nel qual sito non solamente furon veduti gli abitanti prendere una immensa quantità di pesci, ma ancora sorgere in alto le acque dolci... Finalmente nel giorno 28 il gran tratto di terra, che giace fra le radici del monte, che gli abitanti dicono Barbaro, ed il mare vicino Averno, vedevasi sollevare e d'un tratto prendere la figura di un monte che nasce...».

È questo angoscioso, ancestrale timore - l'unico - ad avere determinato la pesante catastrofe di Pozzuoli; ma a determinarla è stata anche, come si diceva, l'incuria, la violenza e la strafottenza degli uomini. Tutto è cominciato nel dopoguerra, con la cosiddetta ricostruzione.

Da circa quarantamila abitanti nel 1960 Pozzuoli oggi ne conta sessantamila. I palazzi a uno e due piani sono un ricordo. Sui secondi se ne sono innalzati altri due, tre, quattro e perché non cinque e perché non un superattico, una torre, un campanile. Con le case a due piani il baricentro, come nella torre di Pisa, cadeva nella base. Oggi cade fuori. Da qui il pericolo e la fuga; ma la fuga soprattutto di quei venti o trentamila non puteolani, gli immigrati dell'industria (Olivetti, Pirelli, Sunbeam, Trione ferro-leghe) perché i puteolani veraci tutte le sante mattine che Dio manda sulla terra sono presenti con due speranze: che gl'immigrati se ne vadano con le loro paure e i palazzi siano ridotti alle antiche dimensioni, lasciando rifiorire le antiche risorse: l'agricoltura, le terme, la pesca (e un po' di contrabbando).

«Qui Touring» - maggio 1984

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