Controstorie

La nazione degli scacchi fra Buddha e ufo rapitori

Deportati da Stalin, i calmucchi sono tornati nella loro terra. Guidata da un leader bizzarro

Marco Valle

La Calmucchia, che roba è? Un oggetto misterioso, un obiettivo del Risiko (stile la mitica Jacuzia, per intenderci), un nome di fantasia. Pochi sanno cos'è e pochissimi dov'è. Non è grave. Questa piccola repubblica autonoma della Federazione Russa incastonata tra il Caucaso e il Mar Caspio è una terra remota quanto sorprendente. Per più motivi.

In primis, la Calmucchia è l'unica entità statuale in Europa in cui la maggioranza della popolazione (in tutto 280.564 persone su una superficie grande quando il Belgio) professa il buddismo tibetano. Insomma, un'isola lamaista ai bordi del nostro continente. Gran parte dei calmucchi sono gli ultimi eredi delle tribù nomadi mongole che in tempi lontani emigrarono verso Occidente per sfuggire alla pressione cinese. Una lunga marcia che si concluse attorno al XVI secolo sul delta del Volga; qui le tribù si fermarono e formarono una sorta di federazione sotto la guida di un Khan. Poco dopo anno più, anno meno i calmucchi incontrarono i russi che, sotto la guida dei Romanov, iniziavano a espandersi verso l'Asia; allo zar Alessio e ai suoi successori l'idea di un khanato buddista agli estremi confini meridionali dell'impero non dispiacque e così, attorno al 1630, venne sigillata un'alleanza. Nel segno della «Santa Madre Russia» e in cambio di un'ampia autonomia fede, lingua e tradizioni i guerrieri calmucchi divennero i custodi delle porte del Caucaso musulmano. Tutto cambiò con la rivoluzione dell'Ottobre 1917. Fedeli all'antico patto, i calmucchi si schierarono con i «Bianchi» anticomunisti contro i bolscevichi. Consumata la guerra civile e sconfitti gli zaristi, Lenin e poi Stalin non dimenticarono l'affronto e costrinsero un popolo fieramente nomade alla sedentarizzazione. Poi si impose alla gente delle steppe la collettivizzaazione, l'ateismo, l'assimilazione. Un disastro culturale, sociale, economico. Non a caso l'invasione tedesca nel 1941 fu salutata dai calmucchi come una liberazione e alcuni giovani si arruolarono nel Kalmucken Kavallarie Korps, un'unità di cavalleria che combattè con i nazisti sino al 1945. Alcuni vennero incorporati nell'armata cosacca del generale Krassnoff e si ritrovarono tra il 1944-45 in Italia, in Carnia, nell'effimera ridotta del «Kosakenland».

La vendetta di Stalin fu spietata. Nel 1944 il dittatore fece massacrare l'élites buddista e deportare l'intera nazione calmucca nei gulag siberiani. Un'operazione di pulizia etnica: la metà dei prigionieri morì durante il viaggio o negli anni successivi. Solo nel 1957, morto Stalin, Kruscev permise ai superstiti di tornare finalmente a casa. Una magra e amara soddisfazione. I reduci dall'esilio dovettero adattarsi alle nuove condizioni fissate del potere sovietico fautore di un'industrializzazione stracciona quanto devastante e furono obbligati a sottostare ai coloni russi e ucraini. Per quanto restava del popolo calmucco l'assimilazione, anticamera dell'estinzione, sembrava un destino inevitabile.

La svolta arrivò con la caduta dell'Urss. Nuovamente repubblica autonoma dal 31 marzo 1992, la Calmucchia entrò nell'orbita di Kirsan Iljumzhinov, un personaggio dinamico quanto stravagante. All'indomani della sua elezione il neo presidente si impegnò nel recupero della cultura tradizionale e dell'antica, ma mai scordata, religione. In breve tempo santuari e monasteri vennero riaperti e, nel centro di Elista, la capitale, venne eretto il Burkhan Bakshin Altan Sume, il tempio buddista più grande d'Europa. Il maestoso complesso, benedetto nel 2014 dal Dalai Lama, è famoso per la sua gigantesca statua di Budda, alta nove metri e interamente ricoperta d'oro. Una politica che garantì a Iljmzhinov per sua ammissione ateo e miscrendente il sostegno degli auctononi e dell'influente lobby buddista internazionale.

La Calmucchia è nota anche per un'altra ragione. Grandissimo appassionato di scacchi, Iljumzhinov divenne, grazie al sostegno di Mosca e del blocco asiatico, il presidente Federazione Mondiale di Scacchi (Fide). Una carica prestigiosa che gli permise di organizzare nel 1998 le Olimpiadi degli scacchi nella remota Calmucchia. Per l'occasione Kirsan fece costruire la Chess City, la Città degli scacchi, un quartiere completamente dedicato al gioco, disseminato da statue raffiguranti i pezzi della scacchiera. Il progetto era trasformare Elista nella Mecca mondiale degli scacchisti ma l'idea, come altre iniziative più o meno strampalate, non funzionò. La piccola isola buddista rimase un paese terribilmente povero. Ovviamente gli scacchi non erano l'unica eccentricità del personaggio. Nel 2010 Iljumzhinov finì sotto i riflettori per un'intervista in cui raccontava d'essere stato rapito dagli alieni: a suo dire extraterrestri vestiti di giallo l'avevano trattenuto sulla loro astronave un giorno intero.

Ben più gravi agli occhi degli americani erano però le sue «elazioni pericolose» con Gheddafi, Assad ecc. Insomma, scacchi, affari, traffici. Una spy story. Nel 2016, lo spericolato presidente fu destituito dal vertice della Fide, ma lui non si dimise; l'anno dopo, guarda caso, i conti depositati nella banca svizzera Ubs svanirono, evaporarono. Scacco al re. Per fortuna dei poveri calmucchi, il personaggio ha da tempo lasciato la guida del Paese nelle mani di Aleksey Orlov, uomo decisamente più terreno e affidabile. Con l'appoggio di Zoya Sanzhieva (una bella signora calmucca) e di Iurij Megmerov, rispettivamente ministro dello Sviluppo economico e vice presidente del Parlamento, il leader di Elista sta cercando disperatamente aiuti, investimenti. I primi a rispondere, credere e a investire sulla Calmucchia sono stati gli italiani, per la precisione i veneti.

La sindrome di Marco Polo.

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