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Negli affari di Penati spunta il clan D’Alema

Un’insolita triangolazione che dalla Puglia passa per Sesto San Giovanni e arriva a Roma. E un piccolo clan di affaristi vicini a Massimo D’Alema che ha investito nel grande affare della riqualificazione della Stalingrado d’Italia, e finanziato la "cassaforte" di Filippo Penati

Negli affari di Penati spunta il clan D’Alema

Milano - Una strana geografia di interessi. Un’insolita triangolazione che dalla Puglia passa per Sesto San Giovanni e arriva a Roma. E un piccolo clan di affaristi vicini a Massimo D’Alema che ha investito nel grande affare della riqualificazione della Stalingrado d’Italia, e finanziato la «cassaforte» di Filippo Penati.

La storia - ricostruita dal settimanale Panorama - riguarda tre soci della Milano Pace spa, nata nel dicembre del 2003. Sono Renato Sarno - l’architetto indicato da Piero Di Caterina come «il collettore e gestore degli affari di Penati e Vimercati», nonché potente funzionario in Serravalle tra il 2005 e il 2010 -, Enrico Intini (indagato a Bari per turbativa d’asta nel settore della sanità e azionista di maggioranza della Milano Pace), e Roberto De Santis, anche lui nel mirino dei pm per gli appalti nel sistema ospedaliero pugliese. I tre investono circa 100 milioni di euro in un progetto immobiliare a Sesto San Giovanni, per realizzare 20mila metri quadri di negozi e appartamenti. E si cautelano. Sarno, De Santis e Intini, infatti, sono fra i finanziatori di «Fare Metropoli», la fondazione di Filippo Penati.

De Santis, presidente e ad della società, è un dalemiano doc. Classe ’58 nella Figc conosce D’Alema, allora segretario dei giovani comunisti. A lui, nel 1994, Da Santis vende Ikarus, la barca che più di un grattacapo causerà all’ex segretario dei Ds, per poi presentargli Gianpaolo Tarantini, indagato nello scandalo della sanità pugliese. Dopo l’esperienza con il Bingo - a cui proprio D’Alema diede il nulla osta per l’Italia - De Santis si avvicina a Enrico Intini, titolare del grupo «Intini di Noci», e diventano soci nella In Tour srl. Ma nel cda della Milano Pace siede anche Salvatore Castellaneta, avvocato barese dalla cui masserizia D’Alema annunciò ai giornalisti la «scossa» per il governo Berlusconi. Ovvero, la vicenda della escort Patrizia D’Addario. Ed è nel suo ufficio - scrive ancora Panorama - che Tarantini incontra Intini, il quale gli chiede di presentargli il capo della protezione civile Guido Bertolaso. Intini cerca agganci per la sua «Sma», azienda che si occupa di antincendio. E che finanzia la fondazione di Penati.

Sul fronte delle indagini, intanto, emergono altri nomi dal sottobosco della sinistra che sarebbe stato coinvolto nel «sistema Sesto». I verbali sono contenuti nel ricorso al tribunale del Riesame presentato dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia. Il 14 marzo scorso Di Caterina ricorda: «Durante la campagna elettorale, credo del 1993, sia Penati che Vimercati mi chiesero di sostenerli facendo campagne elettorale a loro favore». «Dopo qualche tempo - prosegue l’imprenditore - certamente dopo il 1994 perché era nata Forza Italia, Penati e Vimercati mi chiesero sostegno finanziario per le esigenze del partito». Così, Di Caterina si impegna a «elargire 20, 30 milioni di lire al mese all’inizio. Non ho mai avuto dubbi che i soldi servissero per il partito a Sesto e per la federazione milanese».

E qui arrivano i nomi nuovi dell’inchiesta. Il primo è quello di Giuseppe Carrà, «che all’epoca era il capo effettivo dei Pds a Sesto San Giovanni, su indicazione di Vimercati». A lui, spiega la «gola profonda», «ho consegnato due volte 100 milioni di lire». Altro denaro viene consegnato «personalmente a Vimercati, a volte alla presenza di Penati». Che fine fanno quei soldi? Altro nome nuovo. «Le somme date a Vimercati sono in parte finite a Giancarlo Castelli, che all’epoca era segretario del Pds a Sesto». Il 9 maggio scorso, davanti ai pm, rincara la dose. «I prestiti che ho fatto a Penati erano prestiti alla politica». E un altro personaggio entra in scena. «Anche Bertoli - aggiunge l’imprenditore - può essere inserito in questo gruppo, in quanto ex parlamentare dei Ds e in quanto, in un paio di occasioni, mi chiese di andare da Schwarz (Daniele Schwarz, ad del gruppo Multimedica, ndr), per ritirare contributi alla fine degli anni ’90». Ora Marco Bertoli, attuale direttore generale del Comune di Sesto e deputato del Pci nel 1976, è indagato con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti. In un’intercettazione del maggio scorso, Bertoli spiega che bisogna rassicurare «i bolognesi (le coop, ndr)» che «se hanno bisogno del Comune, il Comune è qui, per andare avanti nell’istruttoria tecnica siamo sempre qui». Indagato per corruzione, poi, anche l’ingegnere Michele Molina, esperto nello sviluppo di centri commerciali, che avrebbe avuto un ruolo nel business urbanistico di Sesto.

Le indicazioni fornite da Di Caterina - scrivono i pm - «sono ampiamente sufficienti a integrare il reato di finanziamento illecito dei partiti», e quelle dell’imprenditore devono essere considerate «informazioni dotate di ampia credibilità». E ora è a caccia della «pistola fumante». Quella che potrebbe trovare nell’affare Serravalle.

I pm, infatti, hanno disposto una nuova consulenza per accertare se il passaggio di azioni dal Gruppo Gavio alla Provincia di Milano sia stato congruo (come scritto in una perizia del 2005 disposta dalla Procura di Milano), oppure - come ipotizzano gli inquirenti - abbia nascosto una stecca milionaria.

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