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Nel cuore nero dell’Oas Vita, stragi e sconfitta dei terroristi d’Algeria

Uno studio con documenti d’archivio sull’esercito clandestino che voleva mantenere la presenza coloniale francese in Nord Africa

Nel cuore nero dell’Oas Vita, stragi e sconfitta dei terroristi d’Algeria

Il 16 marzo 1961 sui muri di Algeri comparvero alcuni manifesti recanti lo slogan: L’Algérie française. Erano siglati con un acronimo - OAS - mai visto prima d’allora e che stava per «Organisation de l’armée secrète». L’atto di nascita di questo organismo risaliva a poco tempo prima. Furono due protagonisti della settimana delle barricate di Algeri del gennaio 1960, Pierre Lagaillarde e Jean-Jacques Susini, rifugiatisi a Madrid all’indomani della fallita rivolta, a decidere la creazione di una struttura clandestina armata per impedire col terrorismo la fine della presenza coloniale francese in Algeria. I due non provenivano dal nulla. Lagaillarde, ufficiale dei paracadutisti, aitante, con la barba rossastra, paragonato a un moderno d’Artagnan, era stato tra gli artefici, nel maggio 1958, del ritorno al potere del generale De Gaulle. Susini, di origine corsa ma nato in Algeria, non rassomigliava nel fisico a Lagaillarde, smunto com’era con radi capelli biondi e occhi fiammeggianti in un volto cereo: non aveva potuto prendere parte agli eventi del maggio 1958, ma si era distinto guidando gli studenti filo-francesi nella settimana delle barricate.
Proprio alla storia dell’Oas, un autorevole studioso francese, Olivier Dard, professore dell’Università Paul Verlaine-Metz, ha dedicato un ampio volume dal titolo Voyage au coeur de l’Oas (Perrin) che, per la prima volta, ha potuto avvalersi di materiale archivistico e documentario di questa organizzazione dell’estrema destra francese. Il lavoro ricostruisce con minuziosità gli sviluppi organizzativi dell’Oas e ne ripercorre l’attività terroristica e di sabotaggio che lasciò, pur in un arco di tempo relativamente breve, dietro di sé una lunga scia di sangue.
Il momento di svolta nella storia dell’Oas avvenne dopo il tentativo di colpo di Stato che un gruppo di quattro generali dal passato glorioso - Maurice Challe, Edmond Jouhaud, Raoul Salan e André Zeller - effettuò ad Algeri nell’aprile 1961 dopo la diffusione della notizia di negoziati fra il governo francese e il Fronte di liberazione nazionale di Ferhat Abbas. Il putsch, iniziato nella notte fra il 21 e il 22 aprile con l’occupazione di punti nevralgici della città, si esaurì in pochi giorni dopo l’intervento televisivo di De Gaulle che denunciò il colpo di stato e invitò le truppe fedeli ad arrestare l’insurrezione e i francesi a non obbedire agli ordini dei generali ribelli. Si trattò di una frattura nel corpo tradizionale del patriottismo francese, che investì in pieno quell’esercito che era sempre stato simbolo di unità e oggetto di venerazione per gli ambienti della destra francese. Del resto il ritorno di De Gaulle al potere era stato voluto e sostenuto apertamente da quei militari che ora gli si erano rivoltati contro non condividendone la politica coloniale che privava la Francia di suoi territori e colpiva i francesi nati in quelle zone.
Dopo il fallimento del putsch, comunque, fu proprio il più noto dei congiurati, Raoul Salan, insieme a Jouhaud entrato in clandestinità, a prendere in mano le redini dell’Oas. Uomo di poche parole ma di grande prestigio, il più decorato ufficiale di Francia, Salan strutturò sul piano militare l’organizzazione in due rami, l’uno per il terreno metropolitano e l’altro per quello africano. Obiettivo fondamentale era quello di conservare alla Francia l’Algeria che il “traditore” De Gaulle stava abbandonando. C’era, dietro, il richiamo ideologico a certi temi tipici della mentalità e della cultura della destra francese: il senso dell’onore, il richiamo a un patriottismo fondato sulla terra e sui morti, il gusto del sacrificio. Ma c’era, anche, una sostanziale incapacità a rendersi conto che il mondo era cambiato dopo il secondo conflitto mondiale e che la decolonizzazione era un processo inevitabile. La scelta del terrorismo come arma e della clandestinità come stile di vita (Salan fu costretto in un anno a cambiare rifugio una sessantina di volte) si risolse in una tragica stagione di orribili violenze che vide anche più tentativi di attentare alla vita del generale De Gaulle. Quando il 18 marzo 1962 vennero firmati gli accordi di Evian che mettevano fine alla lunghissima e sanguinosa guerra d’Algeria, l’Oas cercò di provocare l’insurrezione dei coloni, organizzò manifestazioni in sostegno ai cosiddetti pieds-noirs e continuò, ancora per qualche tempo, a boicottare con il ricorso al terrorismo l’applicazione degli accordi. Ma, ormai, la partita era perduta. Un mese dopo la firma degli accordi di Evian, Salan venne catturato e, di lì a qualche tempo, a giugno, Susini fu costretto anch’egli a firmare un accordo che consentì a molti esponenti dell’Oas di mettersi in salvo all’estero, soprattutto in Spagna e in Portogallo.
La storia dell’Oas come organizzazione politica e terroristica si era di fatto conclusa, anche se alcuni dei suoi protagonisti tornarono alla ribalta. In Francia, l’Alto Tribunale Militare emanò molte sentenze di condanne a morte di cui solo quattro furono eseguite. Il generale Jouhaud che, pure fu condannato alla pena capitale poi commutata in ergastolo, ebbe fra i testimoni a difesa la vedova di Albert Camus, che chiese clemenza richiamando il dramma esistenziale dei pieds-noirs: «Mi sento divisa, per metà francese e per metà algerina, e, in verità, spodestata in entrambi i paesi, che non posso più riconoscere perché non li immaginai mai separati». Salan, difeso abilmente da uno dei più grandi avvocato francesi, Jean-Louis Tixier-Vignancourt, ebbe salva la vita ottenendo le attenuanti e fu condannato all’ergastolo: la sentenza accolta in aula dalla Marsigliese intonata dai suoi sostenitori, irritò De Gaulle, contrario alla linea della clemenza dei giudici militari. Ma, anni dopo, nel 1968, proprio De Gaulle concesse l’amnistia a tutti i condannati dell’Oas per sanare la profonda lacerazione che aveva interessato la destra francese. Molti dei protagonisti tornarono in circolazione. Salan, ritiratosi nel Fauborg Saint-Germain, scrisse le sue memorie. Susini redasse anch’egli una storia dell’Oas e, superati i 60 anni, tornò in politica nelle fila del Front National di Le Pen.

Questo però non significa, come ben emerge dal bel saggio di Dard, che esista un filo rosso tra l’Oas e il Front National.

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