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Nel disastro Juve il vero problema è trovare chi comanda

Filippo Melo aderisce al vaffa day contro i tifosi che lo contestano. Zebina mostra il dito medio agli stessi di cui sopra. La Juventus football club scrive un comunicato con frasario da ufficio del catasto per spiegare che certi comportamenti (non fa mai i nomi dei gentiluomini in questione) non fanno bene alla salute del gruppo e all’immagine della società e così facendo si piega al volere degli ultrà. Mancano soltanto alcuni video dello spogliatoio bianconero su youtube, poi la commedia sarebbe completa. Ma che roba è diventata la Juventus? Non si sa bene chi comandi, non si sa bene chi obbedisca, chi se ne andrà, chi arriverà. Jean Claude Blanc conserva la stessa espressione se la squadra sta vincendo 6 a 0 con il Barcellona o se le sta buscando 0 a 1 dal Pinerolo; Alessio Secco vive l’imbarazzo di chi vorrebbe ma non può, di chi saprebbe ma non parla; in mezzo ai due, siede, in posizione strategica, dominante, Roberto Bettega, la bandiera che non garrisce. I tre non si sono fatti vedere dopo l’ultima comica partita di campionato, dal 3 a 0 al 3 a 3, non contro il Liverpool a Istanbul ma contro il Siena a Torino. Idem come sopra al Craven Cottage, dall’1 a 0 all’1 a 4 non contro il Manchester United ma contro il Fulham decimo in classifica della Premier League.
È il silenzio dei colpevoli. In altri tempi, lontani e recenti, sarebbe scattato l’ordine di tenere chiusa la bocca, a tutti, fatta eccezione per un dirigente, unica voce della società e della squadra. Così era uso fare Boniperti, così i due componenti illustri della cosiddetta triade.
Non è soltanto questo il problema della Juventus, anche se la comunicazione è un mistero buffo, anche se il senso di disciplina e di autorità sta scritto sul diario delle buone intenzioni “etiche” ma disatteso nella pratica, cafona e volgare. La Juventus è risalita dalla B e ha raggiunto negli anni successivi posizioni di prestigio, grazie alla vecchia guardia e ai suoi giovani del vivaio, precettati per necessità e non per scelta tecnica. Ma i veterani sono logori e i giovani smarriti, i nuovi arrivati, i due brasiliani su tutti, non hanno aggiunto valenza tecnica in rapporto all’investimento stratosferico, semmai controindicazioni di ordine tattico e comportamentale.
Gli infortuni si moltiplicano, il “projetto” del nuovo stadio va avanti, i campi di Vinovo affondano, appena uno muove un muscolo arriva l’ambulanza. Del Piero è diventata la Madonna alla quale chiedere il miracolo. Segnalo che Platini ebbe la coscienza di ritirarsi a 32 anni e Zidane a 34, una scelta per non concludere la carriera tra malinconie, nostalgie e fischi. E invece a Torino qualcuno parla di prolungamento del contratto cosa che non è stata fatta per Pavel Nedved la cui personalità sarebbe stata importantissima in questa stagione di guai. John Elkann ha chiesto consigli all’esterno non sapendo nulla delle cose calcistiche nostrane. Jean Claude Blanc ha scoperto che il football è una trappola maledetta anche per lui che frequentava le traversate nel deserto, ciononostante non fa un passo indietro per lasciare il lavoro e la responsabilità a manager più esperti, anzi, in cambio di un sontuoso salario, è la triade riunita in un uomo solo. La prospettiva dell’arrivo di Lippi non è allegra, considerati i precedenti sia alla Juventus, sia all’Inter e considerate alcune indicazioni bizzarre, diciamo così, di mercato.
Mai la Juventus aveva vissuto, negli ultimi venti anni, un momento così difficile.

Chi porta a paragone la stagione di Gigi Maifredi evita di aggiungere che, al termine di quell’annata assurda, l’allenatore rassegnò le dimissioni ma Gianni Agnelli liquidò in un pomeriggio il consiglio di amministrazione, con Luca Cordero di Montezemolo in testa.
Chi ha il coraggio e il potere, oggi, di fare lo stesso?

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