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Nel "nuovo" eSwatini, il mini regno assoluto che corteggia Usa e Asia ma affama il suo popolo

La monarchia sta per andare al voto. Cercando capitali esteri e cullando l'amicizia con Taiwan

Nel "nuovo" eSwatini, il mini regno assoluto che corteggia Usa e Asia ma affama il suo popolo

In un angolino dell'Africa australe, incuneato tra il Sud Africa e il Mozambico, ci sono un piccolo regno e un monarca assoluto, un piccolo Luigi XIV africano senza Versailles ma con tantissimi denari e molti problemi. È Mswati III, da trentadue anni incontrastato (o quasi) re dello Swaziland, o meglio del «Regno di eSwatini», il nuovo nome del piccolo Stato. La sua Parigi è Mbabene, una cittadina di 80mila abitanti, la capitale del regno.

Pochi mesi fa, in occasione del cinquantenario dell'indipendenza da Londra e del suo augusto compleanno, Mswati ha deciso di cambiare nome al suo Paese ribattezzandolo il «Paese dei Swatzy», l'etnia maggioritaria, il popolo del re. Ufficialmente un modo per marcare una cesura netta con il passato coloniale. Una sciocchezza: il protettorato albionico durò meno di un secolo dal 1881 al 1968 ed è ancora rimpianto da molti locali: in quel tempo gli inglesi, sempre rispettando le tradizioni locali e la monarchia, avviarono un modesto processo di modernizzazione, assicurarono la pace tra le rissose tribù e offrirono una protezione e una dignità internazionale agli swatzy.

La verità è dunque ben più prosaica: il re non sopportava più che lo Swaziland nei consessi internazionali venisse regolarmente confuso con la lontana Switzerland. Dunque un nuovo nome e un segnale di vita (noi esistiamo, ci siamo...) verso la comunità internazionale. Sbaragliati così gli innocenti elvetici e forte della sua nuova denominazione il minuscolo reame (17.363 kmq, più o meno come il Lazio, e 1.130.000 abitanti) ora si avvia verso le elezioni legislative. Il 21 settembre prossimo verranno eletti a scrutinio uninominale maggioritario i 55 membri dell'Assemblea nazionale. Apparentemente un normale esercizio di democrazia. Peccato che il parlamento abbia solo poteri consultivi e i partiti siano fuorilegge dal lontano 1973. Un'eredità di Sobhuza II, padre dell'attuale re, che stufo dei casini tra le opposte fazioni, per lo più espressioni dei vari clan, decise di chiudere la breve quanto turbolenta pagina multipartitica per governare in perfetta solitudine. Da allora agli elettori delle quattro circoscrizioni (ritagliate sui confini tribali) è richiesto ogni 5 anni di scegliere tra tre nomi selezionati da 300 capi locali fedelissimi al loro signore. In ogni caso il parlamentino di Mbabane si riunisce di rado mentre il primo ministro e il governo sono nominati direttamente dalla corona. In più Mswati può sciogliere a suo piacimento l'assemblea e applicare il veto su ogni provvedimento legislativo proposto.

Insomma nello eSwatini tutto ruota attorno al trono e alla famiglia reale. Numerosissima e vorace. Ricordiamo che il monarca ha 13 mogli, 23 figli più qualche centinaio di fratelli e sorelle, zii e cugini assortiti. Un blocco clanico che controlla gran parte dell'economia locale basata principalmente sulla coltivazione della canna da zucchero (il regno è il quarto produttore africano). Una risorsa preziosa che assicura grazie alle esportazioni verso il Sud Africa e l'Europa - un flusso costante di capitali pari al 18% del pil. Ma lo zucchero è soprattutto un ottimo affare per la Royal Swaziland Sugar Corporation, società controllata guarda caso dal fondo Tibiyo Taka Ngwane, la cassaforte privata di Mswati e congiunti, che avvolge tra le sue spire l'intera nazione. Un business che però sfiora appena i sempre meno pazienti sudditi di sua maestà. Da anni le finanze dello Stato languono mentre disoccupazione (ormai a quota 28%) e povertà (il 63% della popolazione vive sotto la soglia minima) continuano a crescere in modo esponenziale. Nel 2016 la «misteriosa» sparizione di 360 milioni di dollari dai fondi governativi ha scatenato un'ondata di scioperi che hanno costretto il sovrano ad autorizzare la formazione di sindacati indipendenti o vicini all'opposizione.

Ancor più grave è però la situazione sanitaria: il 28,8% della popolazione tra i 15 e 49 anni è affetta da virus Hiv e solo nel 2016 sono state registrate 9.443 nuove infezioni e 3034 morti per malattie collegate all'Aids. Un'ecatombe per la piccola nazione africana. Per tutta risposta Mswati, uomo terribilmente superstizioso, ha incolpato dell'epidemia gli stregoni del muti una sorta di voodoo locale e inasprito le già dure leggi sulla morale proibendo minigonne, divorzi e rapporti prematrimoniali sotto i 24 anni. La svolta bacchettona è certamente stravagante e probabilmente inutile ma piace molto alle potenti chiese evangeliche e ai capi tradizionalisti, la base di consenso del potere regale. Ma il sovrano può contare anche su altri alleati, ben più potenti e danarosi. In primis vi è Taiwan. Il regno africano è uno delle pochissime nazioni al mondo che ha rapporti diplomatici ufficiali la Cina nazionalista. Per i callidi eredi di Chiang Kai-Skek il piccolo eSwatini è una piattaforma perfetta - alla faccia dei mandarini rossi di Pechino - per costruire architetture finanziarie-economiche e poter triangolare con il resto del mondo. A saldo del patto China Airlines, la compagnia di Tapei, ha «regalato» a Mswati un A 340-300. Un dono da 300 milioni di euro. Poi vi sono gli Usa. La Coca Cola è da sempre attiva nel Paese (per la multinazionale lo zucchero è cosa fondamentale...), ma dal 2014 amministrazione Barack Obama/Hillary Clinton anche Washington è politicamente presente. In modo incombente. A pochi chilometri dalla reggia il dipartimento di Stato ha eretto la nuova ambasciata statunitense. Enorme, massiccia. Imponente. Ai contribuenti americani il palazzo (o la caserma?) è costato 141 milioni di dollari. Una cifra spropositata vista l'irrilevanza geopolitica del Paese. O forse no?

Secondo gli analisti il regno di Mswati III, solitario approdo africano di Taiwan, potrebbe diventare il cuneo di Washington nell'Africa australe. Una regione strategica dove cinesi (quelli «rossi») e i russi guadagnano ogni giorno terreno. Da qui il sospetto di tanti che l'ambasciata altro non sia che una nuova base di Africom, il dispositivo militare americano per il Continente nero. Di certo lo spera l'ultimo monarca assoluto dell'Africa. Per sopravvivere e prosperare. Speriamo che il monarca si ricordi del suo popolo, della sua nazione.

Comunque si chiami.

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