Nel successo di Facebook c’è pochissimo amarcord e molto «impiccionismo»

Caro Paolo, Internet, Facebook e compagnia bella: a cosa mai servono agli anziani se non a cercare di vivere le vite che non hanno vissuto? Delusi e stanchi, sperano nell’amore investigando a distanza di decenni della ragazza o del giovanetto lasciati spesso senza un vero perché, semplicemente per i casi, per le svolte del quotidiano esistere. E si trovano in rete improbabili fotografie: ultrasessantenni che dimostrano al massimo quarant’anni, volti sorridenti, gioiosi, mai segnati dalle fatiche, dalle corruzioni del tempo. E ci si chiede l’un l’altro come si è vissuto. Ci si scambiano, dapprima via mail e poi di persona, liete e tristi novelle. Ci si abbraccia, fosse pure per un attimo. E capita, capita di scoprire quanto improvvido sia stato un lontano abbandono: la sofferenza che nell’altro ha lasciato. E ci si immagina - ecco il fine - quanto diversa e invariabilmente migliore sarebbe stata la vita... Vani esercizi che, invece di condurre ad una ancora una volta e sempre ricercata felicità, riaprono o provocano profonde ferite nei cuori già tormentati dal triste trascorrere senza capo né coda dell’umana avventura.
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Sei forse meteoropatico, mio caro Mauro? Le uggiose condizioni climatiche, quest’estate che tarda a imporsi non ostante la profezia di Al Gore (Premio Nobel, mica no. Come Dario Fo, d’altronde) che ci aveva promesso la bella stagione tutto l’anno, ti mettono la saudade in corpo? Sono considerazioni accorate, le tue: non campate in aria, questo no, ma come dire? Crepuscolari. Tieni conto che c’è chi prova autentico (e un po’masochista) gusto nel rivangare il passato e chi non resiste al richiamo della rimpatriata fra ex alunni. E cosa dire di coloro ai quali gli prende la tachicardia incappando nell’amico o amica delle Terza B o nel primo amore (quello, appunto che non si scorda mai)?. Una canzone degli anni Venti, Come pioveva di Armando Gill, interpretò al meglio quello stato d’animo: dopo essersi «tanto amati» ed essersi lasciati «non ricordo come fu», lui e lei s’incontrano «per fatal combinazion» perché insieme ripararono «per la pioggia in un porton». Seguono malinconie e rimpianti vari. Ancor più nota è Signorinella pallida, anni Trenta, del grande Libero Bovio. In quel caso a metter fuoco alla Santabarbara dei sentimenti è una pansè (detta anche viola del pensiero). La stessa che la signorinella, nel dirgli addio (e aggiungendo «con voce tremula: non ti scordar di me»), mise all’occhiello del pischello innamorato che diverrà il «buon don Cesare», uomo fatto, sposato con prole e che «porta il mantello a ruota e fa il notaio». «Il mio piccino - si strugge il buon don Cesare - sfogliando un vecchio libro di latino, ha trovato, indovina, una pansè... perché negli occhi mi spuntò una lacrima? Chissà chissà perché». Inseguendo quel perché naturalmente gli viene un magone grosso come una casa. Questo per dire, caro Mauro, che lo sfruculiare il passato o per meglio dire il ricercare sebbene col moderno supporto telematico i volti del bel tempo che fu e è tentazione di sempre: pochi vi resistono. A me poi pare che tutto quel ravanare nei social network appaghi soprattutto l’impiccionismo di massa, senza dubbio uno degli elementi distintivi dell’odierna società, sia essa civile che incivile. Ne sarebbe prova, se di prove ce ne fosse bisogno, il successo di trasmissioni come le varie Isole dei famosi o quelle di Maria De Filippi, dove si gioisce nell’assistere al lavaggio in diretta degli altrui panni sporchi. E questo senza chiamare in causa la digrignante campagna mossa dai repubblicones contro la legge che intenderebbe regolamentare le intercettazioni, brodo di coltura dell’impiccionismo «sinceramente democratico».

E pensare che la privacy ci sembrò un tempo così importante - un Valore con la maiuscola, un Diritto umano non negoziabile, manco a dirlo - da metterci a sentinella un garante. Non ti viene da ridere, caro amarissimo Mauro?
Paolo Granzotto

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