Cronache

Nella notte di San Matteo brillano soltanto «I Demoni»

Stasera nella piazzetta in scena il romanzo di Dostoevskij adattato per il teatro da Renzo Trotta

Irene Liconte

Un manipolo di giovani trama nell'ombra, persegue apparentemente fini comuni, ma nessuno è in realtà sicuro degli altri: sono «I demoni» di Dostoevskij, adattati per la scena di Piazza S. Matteo da Renzo Trotta, con debutto stasera alle 21.15 nell'ambito del festival di Lunaria. Lo spettacolo, che enuclea il cuore tenebroso dall'intricato romanzo, sarà replicato giovedì alla Galleria d'Arte Moderna di Nervi e venerdì nell'area spettacoli di Arenzano, sempre alle 21.15. Trotta, giornalista Rai, vanta una formazione drammatica che è culminata, tra gli anni '70 e '80, in regie teatrali tra cui «Cimbelino» di Shakespeare e la prima assoluta di «Natalia» di Danilo Macrì.
Attualmente insegnante alla scuola di recitazione dello Stabile di Genova, proprio con i ragazzi dello Stabile, uniti per l'occasione nella «Compagnia dei demoni», il regista si cimenta in una doppia sfida: adattare per la scena la prosa dostoevskiana, ricca di dialoghi e colpi di scena, quindi intrinsecamente votata al teatro, e mettere a confronto la gioventù di oggi con la gioventù russa di fine '800, inquieta e tormentata, calata in un'epoca in cui fervevano i primi focolai di rivolta contro lo stato zarista, come è descritta dal grande scrittore moscovita. E lo spettacolo si focalizza proprio sui personaggi giovani della storia, tra terrorismo e pedofilia, fanatismo ideologico e tendenza all'autodistruzione, temi purtroppo attualissimi. Dostoevskij stesso, in gioventù, aderì a un gruppo rivoluzionario, fu arrestato, condannato a morte, graziato sul patibolo e deportato in Siberia per dieci anni: l'autore conosceva dunque bene gli entusiasmi rivoluzionari giovanili, i limiti di movimenti intellettuali lontani dal popolo e l'abisso che separa slogan altisonanti e impotenza sociale. Lo spunto per il romanzo, però, fu tratto da una notizia di cronaca che fece scalpore nel 1869: il rivoluzionario Necaev strinse in un patto di sangue i suoi compagni con l'assassinio dello studente Ivanov, colpevole di defezione; processato, fu condannato a 20 anni di carcere. Da Necaev nasce il Pierre del romanzo, figura ambigua ed istrionica e capo dei congiurati, istigatore dell'uccisione di Šatov, che ha deciso di abbandonare la strada della rivoluzione per dedicarsi alla ricerca della religiosità e di Dio; l'episodio acquista una patina patetica per l'inaspettato ritorno di Marie, moglie di Šatov. L'ingegnere Kirillov, lacerato dal dubbio sull'esistenza di Dio, è deciso a suicidarsi per dimostrarne l'inesistenza. Se Pierre, con il suo camaleontico comportamento, risulta una figura sinistra ma grottesca, altro spessore ha Nikolaj Stavrogin, giovane intellettuale dall'indiscutibile fascino e dall'animo enigmatico ma perverso: sposa quasi per beffa Marja, zoppa e psichicamente instabile; innamoratosi di Liza, non acconsente ma nemmeno rifiuta la proposta di Pierre di liberarlo della moglie. Ma il suo più efferato delitto è la pedofilia: perpetrato freddamente, ispirato dal dubbio di un cielo vuoto e indifferente, sarà proprio questo misfatto a dare una svolta alla sua vita e, forse, ad aprire uno spiraglio di espiazione in un mondo con connotati da incubo.

Uno spettacolo forte, in cui l'atmosfera luciferina e cupa del romanzo è tradotta in «una sorta di grande allucinazione, dove personaggi in continuo colloquio con le proprie ossessioni vedono emergere gli altri come fantasmi, ombre del proprio delirio».

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